Il nanoeconomista è tale perché non riesce mai a vedere oltre il suo naso. La realtà che lo circonda (quello entro i 15 metri) è per lui la fonte di problemi e di soluzioni che poi pensa di applicare al mondo.
Il nanoeconomista abusa dei termini di “efficacia/efficienza” e le usa per in tutti i discorsi di rilancio economico. L’equivalenza tra efficienza e aumento della resa produttiva gli basta per applicare il concetto di efficienza senza distinzioni al sistema privato e all’apparato statale.
Ma in un paese con il 13% di disoccupazione cosa significa ricercare una maggior produttività?
I disoccupati sono dei lavoratori “che non servono” rispetto alla situazione di equilibrio rappresentata dal fatto che i beni e servizi prodotti e venduti sono pari alla somma dei redditi dei lavoratori al netto del loro risparmio e delle tasse.
Se aumentiamo la produttività aumentiamo la quantità di beni e servizi prodotti per singolo lavoratore. Se risparmio e tasse non variano basteranno meno lavoratori per produrre gli stessi beni e servizi e quindi i lavoratori che non servono verranno licenziati.
Ma i licenziamenti comportano meno stipendi, ovvero meno reddito disponibile per gli acquisti. È evidente che il giro si chiude con ulteriori licenziamenti.
Il risultato finale è:
- maggior disoccupazione all’interno dello Stato
- un aumento iniziale dei profitti per le imprese che andrà però poi a ridursi con il ridursi della domanda aggregata a seguito dell’aumento della disoccupazione
- un aumento di lavoro a parità di stipendio per i lavoratori
Al nanoeconomista sembrava un’ottima idea ed era convinto di aver trovato la soluzione alla crisi italiana, peccato che la nanoeconomia non funzioni come la macroeconomia.