Approfondimento

Il caos in Europa e il sistema monetario imperfetto (1ª parte)

Il caos in Europa e il sistema monetario imperfetto

Ho passato un bel po’ di tempo al mese in diversi aeroporti e odio i fastidiosi controlli di sicurezza, che a volte sembrano estremamente futili. Mi ha sempre divertito (non è la parola giusta) che un passeggero possa camminare imperterrito con un sacchetto pieno di whisky – che diverrebbe un’arma letale se si rompesse – esente da dazi, mentre i personaggi come me, con i chiodi nelle gambe (vecchi incidenti in bicicletta), debbano mettersi a nudo quasi ogni volta che devono volare.

Ora immagino che piazzeranno i controlli di sicurezza davanti all’ingresso del terminal, solo per entrare. Le autorità avrebbero fatto meglio a far sì che i giovani del loro Paese avessero accesso al mondo del lavoro piuttosto che permettere loro di sguazzare nella disoccupazione e nell’esclusione sociale che ne consegue.

È troppo semplicistico attribuire i crescenti pericoli, in Europa e altrove, a concentrazioni dell’alto tasso di disoccupazione. Ma se una società nega volutamente a una [intera] generazione la possibilità di ottenere un impiego e, invece, la denigra come pigra, costituita da persone immotivate, allora è facile capire perché quelle persone giungeranno alla conclusione che la società non abbia nulla da offrire loro. In Europa, dove queste manifestazioni sono sempre più evidenti, il cuore del problema è il sistema monetario imperfetto. Esso ha fallito categoricamente e la ricaduta di quel fallimento ha natura multidimensionale.

Le periferie di Molenbeek (profondo Ovest di Bruxelles) e di Schaerbeek (profondo Nord-Est) sono entrambe aree povere, con livelli di disoccupazione elevati ed un gran numero di persone che ricevono un sussidio. La prima mostra un tasso di disoccupazione maschile di circa il 29% ed uno femminile di circa il 33%. La seconda mostra livelli di disoccupazione analogamente elevati.
Se guardiamo ai tassi di disoccupazione al livello di disaggregazione NUTS2 [1], osserviamo che nella regione di Bruxelles (Brussels Hoofdstedelijk Gewest Région de Bruxelles-Capitale), attualmente, il 39,5% delle persone tra i 15 e i 24 anni non ha un lavoro e lo stesso accade per il 18,3% di tutti coloro che hanno più di 15 anni di età, l’altro ha livelli di disoccupazione elevati simili.

Le medie nella zona euro sono rispettivamente il 23,8% e l’11,6%.

È facile vedere come potrebbero scatenarsi la rabbia e il distacco ed essere dirottati da messaggi più utopici o pieni di speranza del genere di quelli propinati dai predicatori di certe istituzioni religiose.

Inoltre, mentre personalmente non sostengo l’ipotesi secondo cui l’apparente aumento degli episodi di questi attacchi sia il risultato diretto della creazione della zona euro, credo che la disfunzione della zona euro rifletta un’ideologia neo-liberista occidentale che ha infestato il mondo.

Non solo quest’infestazione ha gettato in un caos economico un numero crescente di persone svantaggiate in tutto il mondo, ma ha anche dato vita a regimi geograficamente concentrati che hanno creato l’ambiente per promuovere questo tipo di attacchi.

La crisi, iniziata nel 2008, non è per nulla finita nella zona euro. Gli ultimi dati sulle Job Vacancy [2] dell’Eurostat mostrano che il tasso di posti vacanti nella maggior parte degli Stati membri è rimasto a livelli depressi.

In Grecia, il tasso di posti disponibili è ora 0,6%, mentre nel primo trimestre del 2009 era pari al 2,2%. In Spagna il tasso si è dimezzato. In Finlandia, nel primo trimestre del 2011, lo stesso tasso era il 2,7%, ora è dell’1,1%.

Naturalmente, questo si traduce in livelli di disoccupazione elevati e svantaggio crescente.

Persino nel contesto della logica della cosiddetta Procedura di Squilibrio Macroeconomico (MIP [3]), “un meccanismo di sorveglianza per individuare ed affrontare le tendenze economiche che possono influenzare negativamente il corretto funzionamento di uno Stato membro, della zona euro, o dell’Unione europea”, il sistema non è riuscito a lavorare in maniera efficace.

Nell’ottobre 2011, gli Stati membri e il Parlamento europeo hanno approvato una revisione considerevole del Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Il cosiddetto “Patto di Stabilità e Crescita (PSC) rinforzato” è entrato in vigore dal 13 dicembre 2011.

Il Memorandum Ufficiale ha affermato che il cosiddetto ‘Six-Pack’ ha introdotto la nuova Procedura per gli Squilibri Macroeconomici.

Nella cosiddetta Procedura per gli Squilibri Eccessivi (EIP [4]) è stata dettagliata una serie di interventi che mira a ridurre gli squilibri macroeconomici e che costringe i Paesi a presentare, usando le parole della Commissione europea, “una tabella di marcia chiara e scadenze ben definite per l’attuazione delle azioni correttive”.

L’intero sistema è stato oggetto di un’enorme operazione di sorveglianza (monitoraggio dell’UE), di una rigorosa applicazione di sanzioni pecuniarie (pari allo 0,1% del PIL) e di un intervento centrale nel processo di bilancio di un Paese.

La “Procedura per gli Squilibri Macroeconomici” incorporata nel Six-Pack ha mostrato i preconcetti contro le persone insiti e dominanti nel processo decisionale europeo.

L’obiettivo dichiarato del meccanismo di sorveglianza MIP è quello di “identificare con anticipo i rischi potenziali, prevenire l’insorgere di squilibri macroeconomici dannosi e correggere gli squilibri già in atto”.

Il cosiddetto Quadro di Valutazione MIP fa uso di dieci indicatori di “allerta tempestiva” che forniscono informazioni sugli “squilibri macroeconomici e sulle perdite di competitività” facili da calcolare e da comunicare.

Per valutare se vi è uno squilibrio sono forniti valori di soglia (positivo e negativo). Le priorità sono chiare. Un Paese in cui il tasso di disoccupazione sia rimasto, diciamo, al 9,9% in maniera persistente negli ultimi tre anni, non è considerata in squilibrio, dato che la soglia di allerta è del 10%.

La Commissione ha scelto questa soglia molto elevata perché aveva detto:

… Attenzione all’aggiustamento dei mercati del lavoro e non alle fluttuazioni cicliche.

Che è quello che dice il pensiero mainstream in merito al fatto che il problema della disoccupazione non vada considerato in termini di un’insufficienza di posti di lavoro causata da livelli insufficienti di spesa, quanto piuttosto dall’unico riferimento che prendono in considerazione a livello politico: le cosiddette questioni “strutturali”.

Questo, a sua volta, concentra la loro attenzione sugli “ostacoli di mercato”, la solita predilezione neoliberista [per il lato] dell’offerta che ha fallito da quando è diventata l’approccio dominante nei primi anni ’90 del 1900.

Nella “Relazione sul Meccanismo di Allerta” della Commissione, che si basa su una revisione annuale del quadro di controllo MIP, ogni riferimento alla disoccupazione è di solito accompagnato da qualche conclusione per cui i salari sono troppo elevati e devono essere ridotti in linea con la crescita della produttività. Non vi è riconoscimento alcuno del fatto che la perdurante recessione abbia provocato sia il crollo della crescita della produttività sia della scomparsa dei posti di lavoro per via della carenza della spesa.

I responsabili delle decisioni politiche a livello europeo sono quindi “soddisfatti” con livelli di disoccupazione molto elevati, però nascondono il loro intento attraverso un linguaggio ingannevole.
Un altro preconcetto si evidenzia nel modo in cui trattano il deficit e l’avanzo delle partite correnti. Essi concludono che, in relazione al deficit delle partite correnti:

“… Avanzi delle partite correnti duraturi non destano le stesse preoccupazioni circa la sostenibilità del debito estero e le capacità di finanziamento, preoccupazioni che possono incidere sul buon funzionamento della zona euro.”

Il MIP accorda pertanto “un maggior grado di urgenza … [ai] … Paesi con importanti disavanzi delle partite correnti e perdite di competitività”.

La soglia superiore di allerta (per un surplus) è del 6% del PIL.

Se un Paese che raggiunge la soglia dell’avanzo delle partite correnti rispetta la regola del pareggio del bilancio fiscale, allora il suo settore privato realizzerà un risparmio complessivo del 6% del PIL, a prescindere dal tasso di crescita attuale che deriva da questi aggregati di spesa.

Dove andranno quei risparmi? La storia ci racconta che, dopo la rinuncia alla possibilità di manipolare il tasso di cambio, la Germania ha mantenuto la sua competitività esterna riducendo la capacità dei suoi lavoratori di beneficiare della crescita della produttività dell’economia. Questo, a sua volta, ha soffocato la domanda interna.

Come risultato, nell’economia tedesca le opportunità di investimento redditizie sono state limitate e il capitale ha cercato profitti altrove. I persistenti e consistenti avanzi esterni (il 6% è un valore importante) sono stati il motivo per cui in Spagna ed altrove è sorto un debito tanto elevato.

Nel “Rapporto sul Meccanismo di Allerta 2014”, pubblicato il 3 marzo 2014, la Commissione europea concludeva che la Germania era in stato di squilibrio macroeconomico a seguito del fatto che il suo surplus delle partite correnti era al di sopra della soglia del 6%, ma la elogiava perché le eccedenze “forniscono risparmi da investire all’estero”.

Nell’ultima Relazione sul Meccanismo di Allerta 2016 si legge che:

“Attualmente, l’area dell’euro sta registrando un surplus delle partite correnti tra i più ingenti al mondo in termini di valore. Per il 2015 si prevede che ammonti a circa 390 miliardi di euro, pari al 3,7% del PIL. La maggior parte del surplus è dovuto alla Germania e ai Paesi Bassi, il cui contributo rappresenta il 2,5% e lo 0,7% del PIL dell’area dell’euro, rispettivamente … Anche i Paesi che si trovavano in una situazione di deficit ora stanno registrando posizioni di equilibrio o di surplus, necessarie al fine di garantire la sostenibilità delle loro posizioni nei confronti dell’estero …

Nel caso della Germania, quando si considera la posizione nel ciclo economico, l’avanzo – corretto per il ciclo – è superiore al livello generale dell’inflazione.”

Notiamo che i “Paesi che erano in deficit” stanno raggiungendo queste posizioni di pareggio contraendo le importazioni per via di tassi di crescita depressi e livelli di disoccupazione elevati.

La posizione della Germania è ridicola. Nell’Allegato Statistico del Rapporto sul Meccanismo di Allerta 2016, fino al 2014 la Germania mantiene una surplus delle partite correnti, calcolato come media su 3 anni, del 6,9%.

Ma se aveste pensato che non fosse troppo negativo, allora guardate il grafico seguente, che mostra il saldo delle partite correnti al terzo trimestre 2015. In quel trimestre, l’avanzo era salito all’8,1% del PIL.

Germany - Current Account Balance % of GDP (1971-2014)

La Commissione ha più volte detto alla Germania (l’ultima volta a febbraio 2015) che il surplus esterno richiede “un’azione decisiva e un monitoraggio”, ma non è riuscita a fare nulla al riguardo.
In valutazioni precedenti, la Commissione ha detto alla Germania che deve trovare il modo di “rafforzare la domanda interna e il potenziale di crescita dell’economia”. Tuttavia, evita sempre il problema principale.

Una maggiore domanda interna necessita di una crescita dei salari più rapida, sia per aumentare l’andamento dei consumi, molto modesti, sia per attrarre investimenti nel mercato interno.

Ma un tale cambiamento sarebbe in contrasto con la mentalità mercantilistica che domina il Paese, perché ridurrebbe il vantaggio competitivo di cui la Germania gode rispetto ad altri Paesi che hanno trattato i loro lavoratori in modo più equo.

Questo pone anche la questione della disuguaglianza. Nel quadro di valutazione della MIP non vi è alcun indicatore del reddito nazionale o della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.

Nonostante la negazione neoliberista, le disparità di reddito minano la crescita economica.

Persino il FMI, ora, ha riconosciuto quel punto. Secondo il Gruppo Socio-Economico Tedesco (SOEP), uno studio longitudinale rappresentativo su ampia scala sulle famiglie, che si trova presso l’istituto tedesco per la ricerca economica – il DIW di Berlino – in Germania la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata notevolmente da quando si è unita alla zona euro.

Tra il 1997 e il 2008, mentre il 10% più povero dei percettori di reddito in Germania ha percepito il 15% in termini di reddito annuo medio, il 10% più ricco ha goduto di un aumento del 28%.

Le riforme Hartz e l’imperativo ad esportare sono stati una parte importante di questa disuguaglianza crescente. Per ottenere un aumento della spesa interna, in Germania è necessaria una ridistribuzione sostanziale del reddito.

La conclusione, arrivata dopo aver valutato tutti gli indicatori ecc., è che come sistema monetario la zona euro ha categoricamente fallito.

 

Note del Traduttore

1.^ NUTS: Nomenclatura delle Unità Territoriali Statistiche

2.^ Job Vacancy: posti di lavoro disponibili

3.^ MIP: Macroeconomic Imbalance Procedure

4.^ EIP: Excessive Imbalances Procedure

 

Originale pubblicato il 23 marzo 2016

Traduzione a cura di Daniela Corda, Supervisione di Andrea Sorrentino


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