La disoccupazione non è mai un fenomeno “naturale”.
Enorme attenzione politica, mediatica e sindacale è spesso rivolta a realtà produttive che, nonostante danneggino in modo pesante il benessere delle comunità in cui operano e nonostante creino più effetti negativi generali che ricchezza privata, nonostante rappresentino un elemento di disturbo alla sinergia del tessuto produttivo territoriale non riescono ad essere chiuse perché “danno lavoro”.
Sembra esistere quindi un dilemma apparentemente senza soluzione: o la rovina di un territorio ed il benessere generale della sua comunità, oppure lasciare parte della popolazione disperata senza lavoro.
Il miglior modo per giustificare l’immobilismo di fronte ad un problema è presentarlo come irrisolvibile.
Ma facciamo un passo indietro. Poniamoci alcune domande: il problema della mancanza di lavoro dipende dalla mancanza di cose utili da fare nel mondo? Tutti, se ci pensiamo un po’, potremmo fare una lista lunghissima di cose “utili”, per noi o per gli altri, che potremmo realizzare in una giornata e sicuramente ci accorgeremmo che non potremmo mai fisicamente eseguirle tutte anche se rinunciassimo al sonno.
Lo stesso discorso vale ragionando in aggregato: esisteranno sempre molte più cose da fare nel mondo che persone in grado di farle. Facciamo un esempio: a tutti farebbe molto comodo avere un assistente, un segretario personale, se non due o tre, ma ci sono sufficienti persone al mondo perché tutti abbiano un assistente personale? No e non ci saranno mai! Se usiamo metà della popolazione per dare assistenti all’altra metà avremmo già esaurito tutte le persone esistenti.
Questo ci porta a concludere che la mancanza di lavoro non dipende dalla mancanza naturale di cose “utili” da fare.
Ma il lavoro è solo un’attività utile? Ovviamente no: è anche e soprattutto un’attività remunerata e qui cominciano i problemi. Perché ci sia lavoro nelle economie moderne, è necessario che vi sia una spesa monetaria, una spesa che compri, pagandola, la forza lavoro. Ma come ben sappiamo i soldi sembrano mancare sempre, specialmente ultimamente.
La moneta: il limite all’occupazione
Se ci pensiamo bene la disoccupazione dipende solo dalla mancanza di moneta spesa e poiché la moneta moderna, oggi, non è altro che un numero contabile nei registri della banca centrale e delle banche commerciali capiamo che il collo di bottiglia viene da lì, dal sistema monetario. Non dalle cose da fare bensì dalla gestione della moneta, dalla limitazione artificiale e artificiosa della spesa in un’economia.
Forse questo discorso potrebbe sembrare semplicistico ma è spiegato molto bene da un paradosso economico che è conosciuto da più di 300 anni e che prende il nome di paradosso della parsimonia.
Il paradosso della parsimonia
Si sa da tempo che se in un’economia tutti i soggetti economici rinunciassero a spendere le vendite complessive nell’economia crollerebbero a zero: nessuna spesa, nessuna vendita, nessun occupato e nessun risparmio.
Al contrario se tutti i soggetti sostenessero una spesa pari alle loro entrate la produzione verrebbe completamente venduta e vi sarebbe piena occupazione.
Possiamo ora intuire che perché non si crei disoccupazione per ogni soggetto che spende meno delle sue entrate ve ne deve essere uno che, al fine di compensare, spenda più delle sue entrate o parte della produzione rimarrà invenduta.
All’interno del settore di cittadini ed imprese, normalmente, vi sono più soggetti che risparmiano, spendono meno delle loro entrate, che soggetti che si indebitano, spendono più delle loro entrate. Al fine di ottenere e mantenere la piena occupazione è quindi necessario che un soggetto esterno al settore di imprese e famiglie spenda più delle sue entrate in una misura tale da compensare il risparmio del settore privato: lo Stato.
Lo Stato solitamente è la fonte, l’emettitore, il monopolista della valuta e per questo non potrà mai rimanere sprovvisto. Lo Stato non potrà mai ritrovarsi nell’impossibilità di spendere a causa di una “naturale scarsità di moneta”; il limite al deficit al 3% è infatti qualcosa di completamente arbitrario. Lo Stato svizzero, per esempio, potrà rimanere a corto di svizzeri da impiegare, ma mai di franchi svizzeri da spendere dato che la banca centrale svizzera è un suo organo!
L’occupazione è quindi limitata dal fatto che il deficit dello Stato, la differenza fra spesa pubblica e tassazione, è troppo piccolo per compensare il risparmio privato.
Ora possiamo mettere bene a fuoco come l’ambiente non sia mai un limite all’occupazione: semplicemente se un’attività si rivela essere nel suo complesso produttrice di maggiori costi sociali che di ricchezza privata si deve chiudere riorientando la spesa in altro, ma per fare questo c’è bisogno di una politica economica ed industriale con la P maiuscola. Per fare questo è necessario avere una visione e la capacità di costruire un progetto riuscendo ad andare contro interessi privati. Per fare questo lo Stato non deve usare una valuta costruita per vincolarne la capacità di spesa. Questo è il problema!
Se l’ILVA è produttrice di cancro prima che di acciaio allora semplicemente deve chiudere e lo Stato deve creare un investimento che induca l’espansione di un altro settore dell’economia privata!
L’ambiente è un’ulteriore occasione per trovare cose utili da fare non un limite all’occupazione!
La cura dell’ambiente è fonte di nuova occupazione se lo Stato può spendere la sua moneta!