L'Editoriale

Raccolta fondi? Lo Stato può fare di più

Raccolta fondi? Lo Stato può fare di più

La solidarietà è cosa nobile, ma, seppure sia un gesto importante, risulta insufficiente di fronte a ciò che stiamo vivendo. Questa emergenza, come altre nel passato (la più recente il terremoto di Amatrice), ha mosso i singoli ad aderire a significative campagne di solidarietà promosse da influencer, aziende, associazioni e politici. Sono state raggiunte cifre consistenti, ma che non potranno comunque essere sufficienti ad arginare un’emergenza che è diventata una valanga anche a causa di anni di tagli alla sanità pubblica.

La risposta a queste emergenze richiede una capacità di portata tale, in termini di investimenti e reattività, che l’unico soggetto in grado di attivarla è lo Stato. Si tratta di investimenti enormi, diffusi e orientati sia sul breve sia sul medio-lungo termine. La popolarità dell’ideologia del meno Stato più mercato si è sgretolata nel giro di qualche settimana, ma bisogna agire in modo che domani, a emergenza conclusa, non si sostenga che la si poteva fare di più tagliando “qui e là” per “liberare” fondi per settori specifici. Nessuna lezione sarà stata utile se domani riparte la retorica dell’efficienza da raggiungere grazie ai tagli. L’efficienza si raggiunge grazie agli investimenti in tecnologia, assunzioni a fronte del turnover, strutture adeguate. Non dovremo accettare un allentamento dei vincoli in cambio di riforme o sottoscrizioni a trattati come il MES.

La solidarietà è un gesto importante, ma questi giorni ci devono essere di lezione per il futuro.

Il sogno europeo si è rivelato per quello che era: una narrazione ben studiata. Lo Stato architetto del futuro è il nostro orizzonte. Uno Stato monopolista della valuta e orientato all’interesse pubblico è l’unico soggetto in grado di esprimere la capacità di risposta necessaria a un’emergenza e dove le raccolte fondi rappresentano un modo per ognuno di noi di fare qualcosa, ma consapevoli che abbiamo uno Stato al nostro fianco.

Non è tempo di “rattoppi” e pallottolieri. Non è tempo di vincoli europei. E non deve essere tempo di vincoli europei neanche domani, quando dovremo riprogettare il futuro del Paese.


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