È chiaro che Syriza non poteva onorare le proprie promesse circa la fine dell’austerità e rimanere ancora nell’Eurozona. In primo luogo avrebbero dovuto essere onesti su questo. Quasi certamente, il documento di Riforma è stato prodotto dal Governo greco, e non inviato loro da qualche scagnozzo della Troika o un altro insieme ad una penna per firmare sulla linea tratteggiata. L’immagine è importante e questo è un cambiamento.
Essi determinano la natura dell’austerità. Con il 25% di disoccupazione non considero quell’immagine un buon sostituto per la creazione immediata di posti di lavoro su larga scala.
Il documento di Riforma mostra chiaramente che il Governo greco prometterà di intraprendere una valanga di cambiamenti “strutturali” piuttosto generici (cioè non specificati), ma rimarrà all’interno della camicia di forza fiscale imposta dal Patto di Stabilità e Crescita e dai requisiti di bailout (con variazioni marginali).
Il documento afferma che il Governo greco:
Assicurerà che la sua lotta alla crisi umanitaria non abbia un effetto negativo in termini fiscali.
Cosa significa esattamente un “effetto negativo in termini fiscali”. Beh, per voi etimologi, è il termine che per i gruppi di pensiero neoliberisti sta ad indicare l’aumento della spesa a deficit. Noi ora pensiamo all’aumento dei deficit fiscali come a qualcosa di negativo, e all’aumento dei surplus come a qualcosa di positivo, indipendentemente da quanto stia accadendo nell’economia reale, alla crescita del reddito e alla disoccupazione.
E poi c’è la difficoltà – il piano greco che include un impegno ad effettuare quest’anno un surplus fiscale primario dell’1,5% (cioè un surplus al netto degli interessi pagati) è basato apparentemente sulla loro convinzione secondo cui dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) verrà un massiccio stimolo fiscale, che porrà fine all’austerità promuovendo crescita e occupazione.
È come una massiccia spinta dovuta a reddito da esportazioni o ad un’iniezione federale [di valuta, ndt] a uno Stato. Galbraith continua la sua lezione:
Non ci sono soldi in Grecia; il Governo è in bancarotta. Politiche fiscali Keynesiane su larga scala non sono mai state considerate, perché necessariamente implicherebbero un’uscita – una politica espansiva in una nuova valuta, con tutti i soliti rischi. All’interno dell’Euro, i fondi per realizzare investimenti devono provenire da una migliore riscossione di tasse o dall’esterno, includendo gli investitori privati e la Banca Europea per gli Investimenti.
Il che è vero. Ma le riforme offerte ed ora concordate non sono condizionate ad alcuna iniziativa della BEI.
Tentare di sfruttare diverse propensioni al consumo di diversi gruppi di contribuenti non produrrà in Grecia una capacità di spesa sufficiente ad intaccare la crisi, né tantomeno a risolverla.
È necessario un massiccio intervento fiscale, anche se sappiamo che il percorso di crescita potenziale dell’economia è notevolmente ridotto rispetto a com’era prima della crisi. È chiaro che il Ministro delle Finanze supporti uno stimolo fiscale da parte della BEI.
È stato con Stuart Holland co-autore della cosiddetta Modesta Proposta. Torna in mente l’omonima satira di Jonathan Swift, pubblicata nel 1729, in cui i genitori irlandesi erano incoraggiati ad alleviare i propri problemi economici vendendo i propri figli come cibo, per dare piacere culinario al ricco.
L’ultima versione (luglio 2013) ha visto James Galbraith come co-autore. La Modesta Proposta è motivata dall’affermazione che “un crollo dell’Eurozona distruggerebbe l’Unione Europea, eccetto forse che nel nome”, il che causerebbe un “pericolo globale”. Io non concordo con tali affermazioni, ed il mio libro in arrivo vi spiega perché. Potete leggere il testo del libro poiché è stato pubblicato in forma non revisionata a questo link – Euro Book. Cercate la “Modesta Proposta” per una critica esaustiva. Io non considero un’uscita come un’opzione disastrosa. Per esempio, il Ministro delle Finanze nel 2012 scrisse una critica – Weisbot and Krugman are Wrong: Greece cannot pull off an Argentina [Weisbrot e Krugman si sbagliano: la Grecia non può uscirne come l’Argentina, ndt] – in cui entrambi invocavano un’uscita. Uno dei suoi ragionamenti era connesso a due personaggi immaginari Greci, Dimitri e Kiki, che sposteranno i propri risparmi in banche offshore (in euro) in previsione dell’uscita. Potrebbero anche “stiparli sotto i loro materassi o nasconderli nel loro freezer”.
Il Ministro delle Finanze scriveva che:
Ciò significa che, nel momento in cui giungeremo ad un’uscita dall’euro, lo stock di risparmi sarà in euro e il flusso di redditi e pensioni (una volta che le banche riapriranno) sarà in Dracme.
E la conclusione:
Inoltre, la grande disponibilità di quantità così elevate di risparmi in valuta “forte”, nelle mani dei cittadini medi Dimitri e Kiki, assicurerà che il declino del valore della nuova Dracma sarà rapido…
Questa è un’affermazione comune. Che la valuta si deprezzerà così tanto da spazzar via qualsiasi prosperità in termini reali, come risultato della svalutazione dei risparmi (espressi in Dracme). Si consideri l’affermazione in base alla quale – una volta emessa – la nuova valuta greca si deprezzerebbe considerevolmente rispetto all’euro una volta emessa. Perché questo avverrebbe? Le parità di cambio estero sono determinate da domanda e offerta.
Chi starebbe emettendo la nuova Dracma? Risposta: solo un’istituzione – il Governo greco tramite la banca centrale.A quanto ammonta il volume (l’offerta) corrente di nuova Dracma nei mercati di cambio estero? Risposta: zero – non esiste. Se il Governo greco restringesse la propria offerta [di valuta, ndt] ma fosse in grado di far sì che la popolazione la richiedesse – per pagare tasse ecc – allora per quale motivo la valuta dovrebbe deprezzarsi in maniera violenta nel periodo successivo alla sua emissione? State pensando (come la maggior parte delle persone) ad una valuta commerciabile già esistente che non è agganciata [ad altre valute, ndt], o a qualcosa del genere. Allora il deprezzamento può essere repentino, perché ci sono molte scorte. [Ci sarebbe] un deprezzamento significativo del tasso di cambio della nuova Dracma nel breve termine, dato dal fatto che l’offerta sarebbe ridotta.
Gli esempi usati spesso, come quello dell’Islanda e dell’Argentina, fanno tutti riferimento a valute che sono già disponibili in grandi quantità nei mercati del cambio estero. La conclusione fondamentale è che è difficile vedere come una proposta che non coinvolge trasferimenti fiscali o variazioni al Trattato possa fornire una soluzione al caos che sia sostenibile nel tempo. La modestia della proposta è il suo limite. Non risolverà i problemi connaturati alla struttura dell’Eurozona, che sono definiti dai vincoli politici che gli autori riconoscono obbligarli ad adottare queste “modeste” proposte invece di soluzioni più efficaci e sostenibili nel tempo.
I vincoli politici che essi identificano includono quelli che impediscono alla BCE di finanziare direttamente i Governi, l’incapacità di emettere euro-bond, l’impasse sulla creazione di una
unione federale che gestisce i trasferimenti correttamente funzionante
(p.3); ed i ritardi che deriverebbero dal tempo necessario all’attivazione di qualsiasi variazione nei Trattati, una volta concordata.
Un elemento della proposta era ragionevole. Essi promuovono un “Investment-led Recovery and Convergence Programme” (IRCP) [Programma di Ripresa e Convergenza guidato dagli Investimenti, ndt] su larga scala, a livello Europeo. È una delle poche proposte, tra le tante emerse in letteratura, che cerca esplicitamente di invertire l’atteggiamento mentale favorevole all’austerità con l’aumento della spesa complessiva, e, di conseguenza, affronta direttamente il principale problema di breve termine della crescita stagnante.
Il ragionamento secondo cui un nuovo e sostanziale investimento potrebbe avviare la crescita se indirizzato ad un impiego produttivo, è musica. Imita le risposte d’urgenza che determinarono il New Deal negli Stati Uniti tra il 1933 e il 1937. Le domande sono se la scala del programma sarebbe sufficiente a generare una ripresa, considerata la rilevanza degli output gap attuali [divario tra il Pil effettivo e quello potenziale; fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Output_gap, ndt], e se un massiccio programma di investimenti potrebbe essere assorbito senza creare squilibri dannosi. Il piano di Juncker è di scala talmente ridotta da non servire allo scopo.
E la Germania non concorderà alcuno schema più ampio che sia analogo a quello degli Eurobond. Gli autori affermano semplicemente che la portata del programma sarebbe sufficiente. Se si esclude la Germania, il Pil reale nel 2013 per le restanti Nazioni dell’Eurozona era circa il 4% al di sotto del suo livello del 2007 (253 miliardi di euro circa). Analogamente, l’investimento era all’incirca inferiore del 27%. Anche assumendo un moltiplicatore di spesa molto generoso, l’iniezione che sarebbe richiesta per far sì che il gap sovrasti le precedenti allocazioni gestite dalla BEI.
Inoltre l’investimento ha una duplice caratteristica – si somma alla spesa nel periodo corrente, ma anche alla capacità d’offerta dell’economia nei periodi successivi. La crescita della spesa per consumi crescerebbe in modo abbastanza rapido da assorbire la nuova capacità? Anche se gli autori hanno descritto la loro proposta come analoga al New Deal (vedere Varoufakis et. al., 2013), si dovrebbe ricordare che il programma USA fu fortemente improntato a dare sollievo ai cittadini disoccupati e agli indigenti nella forma di pagamenti in contante e creazione diretta di posti di lavoro da parte del settore pubblico. Questo genere di soccorso è esterno all’ambito della “Modesta Proposta”, ed è pertanto discutibile se una risposta basata sugli investimenti e sulla scarsità della spesa totale genererà i guadagni necessari a far sì che il consumo delle famiglie aumenti, in Grecia – diciamo – dove, nel 2013, [esso, ndt] era all’incirca il 25% al di sotto del suo valore del 2007. Ma i fondi che sarebbero necessari per implementare questo stimolo fiscale esterno non sono nell’aria.
Come ho spiegato in questo blog – Greece – two alternative views [Grecia – due punti di vista alternativi, ndt] – la Grecia non otterrà la crescita mantenendo posizioni di pareggio di bilancio. In che modo il Partito pensa di colmare il massiccio output gap che ha la Grecia? Gli output gap si possono chiudere solo aumentando la produzione. Questo richiede un aumento di spesa pubblica netta, non posizioni di pareggio di bilancio o persino di surplus [di bilancio, ndt]. Il potere d’acquisto ottenuto dai “ricchi evasori fiscali” potrebbe superare la propensione al risparmio degli altri, ma non darà ugualmente la spinta netta necessaria. La Grecia ha perso il 25% del suo Pil reale dal 2008.
Mentre la produzione potenziale è quasi certamente calata (dato che le imprese hanno smantellato capitale produttivo) nell’affrontare un massiccio calo dell’investment ratio, vi è comunque un’enorme capacità produttiva inutilizzata nel Paese. La disoccupazione di massa ne è la testimonianza. Anche se potrebbero esserci buone ragioni per ridistribuire la spesa pubblica esistente tra gli interessi concorrenti, il fatto schiacciante è che il deficit pubblico greco deve aumentare sostanzialmente – di molte volte il limite fiscale attuale del 3% previsto dal Patto di Stabilità e Crescita.
Portare avanti una politica neutra dal punto di vista fiscale per aiutare la popolazione, stimolerà solo parzialmente la spesa nazionale complessiva. La realtà è che la Grecia ha bisogno di uno stimolo pubblico che va molto al di là di qualunque cosa sia concessa dalle regole attuali. Una posizione di pareggio di bilancio non risolve quel problema.
Ma i Greci possono risolvere la situazione con una singola decisione – lasciare l’Eurozona e ripristinare la sovranità monetaria. Ma ciò non è in agenda perché la sinistra progressista in Grecia sembra aver acquisito la linea secondo cui il “Progetto Europeo” richiede un’unione monetaria, ed essere nell’Eurozona è un segno di sofisticatezza e una rottura con i Colonnelli! Ho comprensione per i loro timori che i primi anni 1970 non siano lontani, e che stiano comprando le forze armate con nuovi giocattoli militari ecc (importati nientemeno che dalla Germania) che sono ampiamente sfuggiti alla morsa dell’austerità.
La probabilità di un golpe militare se Syriza avesse sostenuto l’uscita dall’Eurozona non è qualcosa che io possa valutare. Ma l’idea che la Grecia tornerà in qualche ristagno se non è parte dell’Eurozona è una delusione.
Conclusione
Dopo alcune settimane dall’elezione non è ancora esattamente chiaro cosa sta succedendo. Ma ad oggi l’unica conclusione ragionevole è che gli obiettivi di politica [economica, ndt] dichiarati da Syriza non sono mutuamente coerenti, e questa è la ragione per cui hanno lasciato un significativo campo alla Troika – ehm, alle Istituzioni!
Non possono realizzare le (materne) aspirazioni di una crescita più elevata, di un aumento di redditi e giustizia consentendo – nel frattempo – a Bruxelles di dominare l’ampiezza dei propri deficit fiscali.
Non possono raggiungere i propri obiettivi con un tasso di cambio fisso (di fatto senza un tasso di cambio indipendente) con la Germania come partner nell’unione monetaria. Le loro promesse politiche entrano in risonanza con la popolazione sofferente.
Ma la realtà è che la popolazione non è istruita da forze progressiste sul danno auto-inflitto che il fatto di mantenere l’euro come propria valuta sta causando. I partiti politici che fanno di questo un totale impegno per restare nell’Eurozona non sono d’aiuto.
Non accennare alla Guerra
Nel caso abbiate dimenticato lo sketch, c’è Basil a passo d’oca [il passo dell’oca è un modello di passo marziale in uso nelle parate militari, fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Passo_dell’oca, ndt]. dopo che il suo continuo menzionare “la Guerra” ha turbato uno dei turisti tedeschi.
Il leader britannico dei Verdi non può dire “aumenteremo il deficit”!
Il leader britannico dei Verdi ha rilasciato un’intervista sulla politica abitativa del partito, che è stata riportata oggi su ABC News (26 febbraio 2015) – Natalie Bennett, leader of Britain’s Greens, apologises after struggling on party polices in ‘very bad’ interview [Natalie Bennett, leader dei Verdi britannici, si scusa dopo le difficoltà incontrate riguardo le politiche del partito in un’intervista “pessima”; ndt]. Le è stato chiesto come il Partito avrebbe pagato il terreno necessario a “costruire 500˙000 nuove abitazioni affittate ad un canone sociale”, ed ha risposto:
Si, allora, ehm, c’è un costo totale, ehm, che verrà detto chiaramente nel nostro manifesto…
Potete ascoltare l’intervista nel report della ABC.
Fate una smorfia e poi riflettete sul problema. Avrebbe semplicemente potuto dire – “Se saremo al Governo, allora il popolo inglese comprenderà che emettiamo la valuta e pagheremo aumentando il deficit e dando istruzioni alla Bank of England perché accrediti i conti bancari necessari ad agevolare gli acquisti”.
Questa è la pura verità. Lo possono fare. Se c’è necessità di mezzo milione di nuove abitazioni affittate a canone sociale allora dovrebbero farlo fintanto che ciò è nella reale capacità dell’economia di fornire le abitazioni.
Se non è nelle loro capacità allora dovrebbero stabilire le priorità e magari aumentare le tasse per ridurre la capacità di spesa del settore privato.
Semplice macroeconomia.
Il motivo per cui lei è inciampata è che i Verdi sono solitamente “neo-liberisti in bicicletta”, e non si possono permettere di parlare di deficit ecc perché sono limitati dall’ortodossia corrente. Le conseguenze di ciò sono che (a) di fatto, non sarà costruita alcuna casa popolare; e (b) lei sembra un’idiota quando viene intervistata.
Per oggi è abbastanza!
Originale pubblicato il 26 febbraio 2015
Traduzione a cura di Andrea Sorrentino