Approfondimento

La Teoria Monetaria Moderna non è una ricetta per l’apocalisse

La Teoria Monetaria Moderna non è una ricetta per l'apocalisse

Non esistono trade-off intrinseci tra la politica fiscale e quella monetaria

Krugman scrisse per la prima volta della Teoria Monetaria Moderna il 25 marzo 2011. L’ultima volta che ne ha scritto, in due parti, è stato il 1213 febbraio 2019. Nonostante abbia avuto circa un decennio per familiarizzare con l’approccio, continua a fraintenderne alcune delle idee di base.

Questo è importante per due ragioni: la prima, perché le persone ascoltano Paul Krugman, che ha vinto il premio Nobel per l’economia nel 2008; la seconda, perché l’approccio che sta discutendo rappresenta il cuore del modo in cui vengono concepite le politiche economiche che influenzano milioni di Americani. Mi piacerebbe provare a proseguire la conversazione rispondendo alle sue preoccupazioni.

Krugman inizia dicendo che “la MMT sembra coincidere abbastanza con la dottrina della ‘finanza funzionale’ di Abba Lerner del 1943”. Dopodiché intavola una critica alla finanza funzionale di Lerner che, a suo dire, “è rivolta anche alla MMT”.

In verità non è corretto sostenere che la Teoria Monetaria Moderna coincide abbastanza con la finanza funzionale di Lerner. La MMT trae concetti e ispirazione dal lavoro di Lerner – anche dal suo [scritto] “La moneta come creatura dello Stato” – ma gli accademici americani che più sono associati alla MMT risponderebbero che i contributi di Hyman Minsky e Wynne Godley sono almeno altrettanto importanti per il progetto e, probabilmente, anche altri. Pertanto, una critica della finanza funzionale non è una critica della MMT, ma una critica a una parte di un approccio macroeconomico più esteso.

Ma proseguiamo ed esaminiamo ciò che Krugman pensa che la MMT – ehm, che Abba Lerner – sbagli. Per coloro che non hanno familiarità con l’approccio di Lerner, eccone la versione in miniatura: lo Stato dovrebbe usare i suoi poteri fiscali (spesa, tassazione e indebitamento) nella maniera, qualunque essa sia, che meglio consenta di mantenere la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Essenzialmente sta affermando che dovrebbe essere il Congresso, e non la Federal Reserve, ad avere il doppio mandato.

Lerner rifiutava la dottrina della “finanza sana” secondo cui il deficit dovrebbe essere scongiurato, incoraggiava invece i policy maker a concentrarsi sul mantenere un’economia in equilibrio piuttosto che un bilancio in pareggio. Ciò potrebbe richiedere una condizione di deficit persistente, ma potrebbe anche richiedere un bilancio in pareggio o perfino in surplus.

Tutto dipende da quanto il settore privato si avvicina alla piena occupazione autonomamente. Ad ogni modo, lo Stato si dovrebbe concentrare sull’inflazione e non preoccuparsi del deficit o del debito di per sé.

Krugman dice che il pensiero di Lerner e, per estensione, della MMT, presenta due problemi. “Primo, Lerner trascurava il trade-off tra la politica monetaria e quella fiscale”.

Nello specifico, Krugman lamenta il fatto che Lerner, nella sua discussione, fosse troppo “sprezzante” della politica monetaria perché auspicava che il tasso d’interesse fosse fissato al livello tale da produrre “il livello d’investimento desiderabile” senza, però, specificare a quale livello si dovesse fissare tale tasso.

È una critica bizzarra, visto che Krugman stesso condivide l’idea che la politica monetaria dovrebbe avere come obiettivo un “tasso neutrale” invisibile, un cosiddetto r* che esiste quando l’economia non è in depressione né in surriscaldamento. Per quanto può valere, la ricerca suggerisce che il concetto di tasso neutrale “potrebbe essere completamente sbagliato” e il Presidente della Fed, Jerome Powell, ha ammesso che la Fed è stata troppo presuntuosa nel fare affidamento “su variabili che non si possono misurare direttamente e si possono stimare solo con un elevato margine d’incertezza”.

Ma Lerner non stava cercando di usare i tassi d’interesse per ottimizzare l’economia. Quello era un lavoro per la politica fiscale. Egli sosteneva che lo Stato dovrebbe prepararsi a spendere qualunque cifra sia necessaria a sostenere la piena occupazione senza aumentare le tasse o indebitarsi.

A meno che questo non facesse correre il rischio di dare origine a un problema di inflazione, Lerner voleva che lo Stato operasse un taglio delle tasse o spendesse moneta di nuova emissione da lasciare semplicemente in circolo nell’economia. Ma egli comprese anche che questo avrebbe potuto far sì che il tasso d’interesse “si riducesse troppo… e inducesse investimenti eccessivi, dando così origine ad inflazione”.

Per questa ragione Lerner suggerì che lo Stato potrebbe voler vendere titoli per drenare la moneta (le riserve) in eccesso, finché il tasso d’interesse a breve termine aumenti abbastanza da prevenire un investimento eccessivo. In caso contrario, un basso tasso d’interesse causato da un crescente livello di deficit potrebbe “attrarre” un’ulteriore spesa per investimento e surriscaldare l’economia. In altri termini, Lerner la pensava in maniera completamente differente in merito alla relazione tra deficit, tasso d’interesse e obiettivo di “indebitamento”.

Si preoccupava dei potenziali effetti attrattivi della politica fiscale, non degli effetti di spiazzamento che Krugman crede facciano parte di una tensione intrinseca – un trade-off – tra la politica fiscale e quella monetaria. Lerner comprese che il deficit può spingere il tasso d’interesse verso il basso e incoraggiare un investimento eccessivo, da cui il suo supporto alle vendite di titoli per mantenere un tasso d’interesse elevato. In questo modo, l’indebitamento non servirebbe a finanziare il deficit ma a raggiungere il livello di tasso d’interesse desiderato. La MMT concorda e fa lo stesso discorso.

L’altra obiezione di Krugman è che Lerner “non affrontò appieno le limitazioni, sia quelle tecniche sia quelle politiche, dell’aumento del prelevamento fiscale o della riduzione di spesa” come strumenti per combattere l’inflazione.

In effetti, Lerner aveva parecchie cose da dire al riguardo. Quella che segue è la frase con cui aprì un capitolo interamente dedicato all’argomento nel suo libro del 1951 “L’economia della piena occupazione”: “Abbiamo ora concluso la nostra trattazione dell’economia dell’occupazione, ma è necessario spendere qualche parola in più sulla politica e sull’amministrazione delle politiche per l’occupazione in generale e della Finanza Funzionale in particolare” (enfasi originale).

Il timore di Krugman è questo: cosa accadrebbe se i legislatori implementassero politiche coerenti con quanto Lerner pensava che avrebbero dovuto e questo ci conducesse a una situazione in cui a un certo punto ci trovassimo con un rapporto debito/Pil del 300% e un tasso d’interesse superiore al tasso di crescita?

Dice Krugman: “per stabilizzare il rapporto debito/Pil si renderebbe necessario un surplus primario pari al 4,5% del Pil”. Dopodiché si interroga su come lo potremmo ottenere. “Andremo a tagliare il [programma] Medicare e la Previdenza Sociale?”.

Io ho tre risposte.

La prima, come ha spiegato l’economista James K. Galbraith, “la determinazione del livello di tasso d’interesse cela un demone”. Non è difficile evitare uno scenario apocalittico. Come spiega Galbraith, “la conclusione politica prudente è: tieni bassa la proiezione del tasso d’interesse”. O per dirla più volgarmente: “È il tasso d’interesse, stupido!”.

Siccome il tasso d’interesse è una variabile politica, tutto ciò che la Fed deve fare – per evitare che il rapporto [debito/Pil] cresca indefinitamente – è mantenere il tasso d’interesse ad un livello inferiore a quello del tasso di crescita (i<g). Come dice Galbraith, “per ottenere quel livello non c’è alcun bisogno di ridurre drasticamente i piani di spesa futuri o di tagliare i benefit previsti dalla Previdenza Sociale o da Medicare”.

Anziché presentarlo come un problema per la finanza funzionale, Krugman si dovrebbe chiedere il motivo per cui la Fed dovrebbe mai voler mantenere il tasso d’interesse a un livello che porterebbe il debito su una traiettoria insostenibile. Io non credo che lo farebbe. Se i>g allora il [costo del] servizio del debito cresce più rapidamente del Pil, cosa che secondo Krugman darebbe luogo a inflazione.

Così il suo scenario ipotetico solleva la domanda: per quale motivo la Fed, che persegue un obiettivo di tasso d’inflazione, dovrebbe permettere che si raggiunga una situazione in cui i>g con un rapporto debito/Pil del 300%?

In tal proposito il Giappone offre un buon esempio, ha un rapporto debito/Pil che un giorno potrebbe benissimo salire al 300%. Nel frattempo, il tasso è esattamente al livello stabilito dalla Banca del Giappone e lo Stato sostiene il suo disavanzo primario senza alcun problema.

La seconda: se siamo così ossessionati dalla sostenibilità del debito, perché ci stiamo ancora indebitando? Si ricordi che Lerner non concepiva l’indebitamento come un’operazione di finanziamento. Come ho spiegato qui, lo vedeva come uno strumento con cui condurre la politica monetaria – attraverso il quale drenare riserve e mantenere i tassi d’interesse al livello desiderato.

Ma la Fed non fa più affidamento sui titoli (sulle operazioni di mercato aperto) per raggiungere il tasso d’interesse che ha fissato come obiettivo. Paga semplicemente gli interessi sui saldi delle riserve al tasso target. Perché non eliminare del tutto i titoli del Tesoro? Potremmo ripagare il debito “domani”.

Se questa [misura] sembra troppo estrema, perché non ridurre a tre mesi la durata dei titoli del Tesoro così che i tassi d’interesse si collochino sempre un po’ al di sopra del tasso [d’interesse] overnight? E se volessimo imbarcarci in una mobilitazione paragonabile a quella avvenuta nella seconda guerra mondiale per un Green New Deal, il Congresso potrebbe dare istruzioni alla Fed di fissare un tetto massimo al tasso d’interesse così come fece effettivamente durante quella mobilitazione. In altri termini, ci sono molti modi per affrontare i problemi tecnici e amministrativi che preoccupano Krugman.

Infine, Krugman, come la maggior parte degli economisti di professione, sembra supporre che il tasso d’interesse a breve termine sia l’unico strumento di cui la Fed dispone per raffreddare l’economia. La MMT non è d’accordo e così pure molte banche centrali nel mondo.

Una delle possibili alternative è che la Fed aumenti i margini di sicurezza sui prestiti, per esempio dettando una riduzione del livello massimo dei rapporti Loan to Value [1] o Debt Service to Cash [2]. In questo modo diminuirebbe l’ammontare di credito concesso, coerentemente con l’obiettivo della Fed di raffreddare l’economia, mentre il tasso d’interesse sul debito pubblico non aumenterebbe. Un potenziale beneficio dell’incremento dei margini di sicurezza, rispetto all’aumento del tasse d’interesse a breve termine, sarebbe che il credito di nuova concessione potrebbe essere caratterizzato da un minore rischio di insolvibilità.

Dove ci conduce tutto questo? Paul Krugman e io concordiamo su moltissime cose, ma a certe questioni arriviamo da un punto di partenza profondamente diverso.

Lui crede che esistano trade-off intrinseci tra la politica fiscale e quella monetaria. Al di fuori della cosiddetta trappola della liquidità, Krugman adotta la linea standard per cui il deficit di bilancio spiazza l’investimento privato perché il deficit e l’indebitamento privato competono per una quantità limitata di risparmio.

L’approccio MMT respinge questo punto, perché si dimostra che il deficit dello Stato è una fonte (e non un impiego!) del risparmio del settore privato. Alcuni studi accurati mostrano che l’effetto di spiazzamento si può verificare, ma che questo tende ad accadere nei Paesi in cui lo Stato non è un emettitore di valuta e non ha una propria banca centrale.

Questa sembra essere una divergenza che dovremmo essere in grado di risolvere, che sia per via empirica o con l’intuito. Ma chissà? Come scriveva Lerner, “un uomo convinto contro il suo volere mantiene comunque la stessa opinione”.

 

Note del Traduttore

1.^ Il Loan to Value (LTV) è il rapporto tra l’importo del finanziamento concesso da chi presta il denaro e il valore del bene che il prenditore intende porre a garanzia del prestito. Fonte: Borsaitaliana.it.

2.^ Il Debt Service to Cash, noto anche come Debt Service Coverage Ratio (DSCR), è il rapporto tra l’ammontare di contante disponibile e il servizio del debito nel suo complesso, ossia interessi, capitale e canoni derivanti dal leasing. È un parametro utilizzato per misurare la capacità di un’entità, sia essa persona fisica o giuridica, di produrre un flusso di contante sufficiente a garantire tutti i pagamenti necessari a rimborsare il debito contratto. Fonte: Wikipedia.org.

 

Originale pubblicato il 21 febbraio 2019

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo


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