Approfondimento

Ancora un’altra soluzione per la Zona Euro (Seconda Parte)

In un articolo su EconoMonitor del 3 luglio 2014, Which Options for Mr. Renzi to Revive Italy and Save the Euro?, Biagio Bossone, Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi lanciano un appello al Primo ministro Matteo Renzi chiedendo di introdurre i cosiddetti “Certificati di credito fiscale” (CCF) per permettere all’economia italiana di uscire dalla recessione indotta dall’austerità, continuando a rispettare le regole dell’Eurozona.

Nell’articolo viene inizialmente documentato il collasso industriale dell’Italia, la cui produzione ad oggi è inferiore del 25% a quella del 2008. Una catastrofe al di fuori di qualunque immaginazione. Anche gli investimenti privati sono diminuiti del 26% e “la perdita di capacità produttiva si attesta a circa il 15%”.

(la Redazione)


Ancora, il debito pubblico italiano continua ad aumentare in proporzione al PIL nonostante il Governo – ossessionato dall’austerità – stia realizzando il più ampio surplus di saldo primario dell’Eurozona. Il pareggio di bilancio primario non contempla il pagamento degli interessi, e riflette solo la differenza tra la spesa e il gettito fiscale al netto del pagamento di interessi sul debito da rimborsare.

Loro ritengono che questa situazione sia impossibile; sotto queste circostanze, l’Italia infatti non è in grado di creare (al netto) nuovi lavori e ridurre l’enorme quantità di disoccupati. Ci dev’essere più spesa, ed è improbabile che questa arrivi dal settore privato, visto il tasso di disoccupazione e i redditi in diminuzione.

Inoltre correttamente aggiungono che:

Le riforme strutturali (come la giustizia, l’istruzione, la governance, il fare impresa), per quanto necessarie per modernizzare il paese e migliorare l’ambiente economico, non spingeranno affatto ad alcun miglioramento in tempi brevi.

Potrebbero anche aver detto che questi processi sono più efficaci quando l’economia è in forte crescita perché – in quel caso – le risorse sono più mobili. I cambiamenti strutturali hanno sempre implicato la necessità di spostare risorse produttive da una destinazione d’uso ad un’altra. Imporre questi processi quando la domanda di lavoro è sostanzialmente depressa e le vendite diminuite significa, in genere, che le risorse rimosse da un settore oggetto di riforma diventeranno inattive piuttosto che essere assorbite da settori in crescita.

Provate a dirlo alle élite dell’Eurozona, che pensano solo in termini di terra bruciata!

Gli autori rifiutano anche l’idea che cambiamenti della politica monetaria, (come i recenti tassi d’interesse negativi fissati dalla BCE), daranno un qualche stimolo [all’economia, ndt].

La conclusione è di buon senso. La preferenza verso la politica monetaria come soluzione – dall’inizio della crisi finanziaria globale – riflette l’avversione neo-liberista alla politica fiscale.

Enfatizzano la politica monetaria perchè odiano la politica fiscale nonostante l’ovvia evidenza che la prima non è uno strumento di politica [economica, ndt] adatto ad affrontare un enorme collasso di spesa.

Sicuramente i tassi di interesse possono essere ridotti e le Banche Centrali possono pompare denaro dal nulla all’interno delle riserve bancarie. Ma questo non garantisce che le persone avranno accesso a maggiore credito e spenderanno di più. Questo è un altro mito neo-liberale, che un aumento delle riserve da parte delle della Banca Centrali stimolerebbe l’aumento del credito e consentirebbe alle banche di prestare più facilmente. Non funziona così. Per favore, leggete i seguenti blog – Building bank reserves will not expand credit e Building bank reserves is not inflationary per ulteriori approfondimenti.

Invece gli autori, ricorrono a un piano che risale a quello della Germania di Hiltler dei primi anni ’30, dove la Banca Centrale e il Ministero delle Finanze crearono una compagnia immaginaria – la Metallurgische Forschungsgesellschaft (Mefo) – il cui unico compito era quello di emettere titoli Mefo. (Per chi legge il tedesco), l’operazione del Mefo è delineata in Drittes Gesetz zur Neuordnung des Geldwesens (Umstellungsgesetz).

I Nazisti capirono che non sarebbero riusciti a ricostruire la Germania né attraverso le tasse, né attraverso l’emissione di sufficiente debito pubblico, visto quanto era povero il Paese dopo il Trattato di Versailles. Anche la paura di riaccendere di nuovo l’inflazione era tanta.

La soluzione allora fu di istituire la Mefo come il principale mezzo per la ricostruzione della potenza bellica tedesca. I tedeschi erano a conoscenza che questo avrebbe dovuto essere un processo segreto così usarono la facciata del Mefo per realizzare l’obiettivo.

Sostanzialmente, ecco come funzionava il sistema.

Dapprima il governo ordinava ai produttori di armamenti tedeschi di costruire nuove armi.

Secondo passaggio, le compagnie costruttrici avrebbero emesso buoni Mefo [note di pagamento (in carico alla Compagnia Mefo), ndt] che la Compagnia Mefo accettava. Era un sistema di pagamenti differiti.

Terzo, chi emetteva i buoni poteva quindi presentarli a sconto alle banche tedesche che potevano a loro volta riscontarli presso la Reichsbank (Banca centrale)

Il Governo (Reich) garantiva i titoli per i successivi 5 anni dalla data della loro emissione.

Di fatto, mentre alla Banca Centrale era stato impedito di finanziare direttamente il Tesoro, i titoli Mefo consentirono a quest’ultimo di acquisire enormi prestiti della Banca Centrale, (prestiti) che gli permisero di finanziarne la ricostruzione fino al 1939.

I nostri autori dell’Eurozona ricalcano la stessa idea, anche se si potrebbe discutere l’accuratezza storica della loro conclusione secondo cui tale piano fu abbandonato una volta raggiunta la piena occupazione.

Infatti, tale schema portò il Ministro delle finanze tedesco in un’aperto conflitto con la Banca Centrale e, nel 1939, l’autore del piano, Hjalmar Schacht, si dimise dal suo ruolo di Ministro dell’economia. In seguito sarebbe saltato di nuovo fuori a Norimberga e sarebbe stato poi dichiarato libero dal momento che venne fatto prigioniero da Hitler dopo l’attentato al Fuhrer del 20 luglio.

Gli autori inoltre non menzionano la natura segreta del Mefo come un modo per nascondere la ricostruzione degli armamenti in Germania per i suoi fini bellicosi.

Ma queste sono osservazioni (fatte) di proposito.

La loro proposta è che:

… Il governo italiano potrebbe emettere nuovi titoli chiamati CCF (Certificati di Credito Fiscale) in quantità necessaria a ridurre gradualmente il gap di crescita dell’economia, considerando valori plausibili del moltiplicatore fiscale per una economia con grande capacità (produttiva) inutilizzata, in cui la politica monetaria opera in condizione di zero lower bound [tasso di interesse a breve termine pari o prossimo a 0, ndt].

E i CCF avrebbero caratteristiche tali da renderli una valuta sovrana:

I CCF rappresentano particolari titoli di Stato: il Governo non ha l’obbligo di rimborsarli in futuro. Piuttosto, due anni dopo l’emissione essi sono accettati per saldare qualsiasi obbligo finanziario nei confronti dello Stato italiano (tasse, contributi previdenziali, contributi al sistema sanitario nazionale ecc). Il differimento consente alla produzione di riprendersi e genera le risorse per compensare il deficit delle entrate fiscali denominate in euro che si determina una volta che i CCF cominciano ad essere accettati dallo Stato per il pagamento delle tasse ed altre obbligazioni imposte dalla legge.

In altre parole, i CCF sarebbero equivalenti all’euro nel senso che potrebbero essere usati per pagare tutte le tasse e altre obbligazioni di legge. In questo senso, sarebbero immediatamente ammissibili per lo scambio all’interno del settore privato.

Come fa il governo ad emettere questi titoli?

Secondo gli autori, lo Stato dovrebbe distribuirli liberamente al “settore privato di imprese e lavoratori”, e “potrebbe sottoscrivere esso stesso una quota addizionale di CCF, da utilizzare per realizzare ulteriori azioni a supporto della domanda (ad esempio, integrare il reddito di famiglie in difficoltà, migliorare il sistema sanitario nazionale, sbloccare pagamenti di titoli scaduti in favore dei creditori del Governo, ecc…).”

Gli autori non ne parlano, ma è ovvio che il governo italiano potrebbe immediatamente introdurre un Piano di lavoro garantito e finanziarlo proprio con i CCF. I lavoratori userebbero i titoli come (fosse) reddito, dal momento che sarebbero convertibili in euro, il che – complessivamente – sarebbe uno stimolo alla spesa.

Gli autori notano che

il mercato li sconterebbe come qualunque titolo di Stato zero-coupon [a interessi zero, ndt] (non soggetto a rischio di default)

a due anni, mentre coloro che li mantenessero come attività di portafoglio

dopo la data di scadenza

li userebbero

per pagare le tasse ed le obbligazioni nei confronti dello Stato.

Gli autori credono che questo piano non violerebbe (le regole sul) la concessione degli “aiuto di Stato” dell’UE; non posso commentare senza aver letto a fondo la legge, preferisco lasciare la discussione agli avvocati.

Non c’è dubbio che questo piano funzionerebbe proprio allo stesso modo in cui gli IOUs avrebbero funzionato in California. Il fatto è che l’Italia e tutti gli altri Stati membri dell’Eurozona sono come gli Stati d’America o d’Australia, sebbene questi ultimi abbiano un’autonomia fiscale considerabilmente maggiore, considerando la mancanza di qualsiasi tipo di vincolo come il Patto di Stabilità e Crescita. È abbastanza certo che gli Stati negli USA hanno scelto di introdurre regole di pareggio di bilancio, ma queste sono generate dalla loro stessa legge che potrebbero modificare senza essere espulsi dall’area del dollaro statunitense (quella che noi chiamiamo America). Non c’è dubbio che il piano darebbe uno stimolo necessario per generare crescita.

Ma gli autori rimangono fedeli all’Eurozona, e i vincoli del PSC sono visti come parametri “normali” per l’Italia. Essi caratterizzano il regime di credito d’imposta come una “misura non convenzionale in occasioni straordinarie”. Dicono infatti:

L’uso dei CCF dovrebbe essere attivato solo in situazioni molto critiche, come ad esempio la depressione economica che i Paesi dell’Eurozona stanno affrontando da ormai troppo tempo, caratterizzata da enorme scarsità di risorse, tendenze deflazionistiche, nessuna politica monetaria autonoma, e politica fiscale pesantemente vincolata. Ovviamente, non si dovrebbe abusare del ricorso all’emissione dei CCF. L’emissione dovrebbe avvenire nell’ambito di specifiche disposizioni di legge, sotto un controllo parlamentare rigoroso e trasparente, e un quadro predefinito in cui è specificato l’obiettivo da raggiungere e la relativa tempistica.

Non sono d’accordo con questa concettualizzazione.

La capacità di un paese di avere discrezionalità nell’uso della moneta è il segno distintivo della propria sovranità. Senza di essa, il governo è incapace di adempiere alle proprie responsabilità di promuovere la piena occupazione e l’equità, e di affrontare le sfide che si presentano, come il cambiamento climatico, ecc.

Affermare che un sistema che consenta di ripristinare la sovranità dovrebbe essere solo temporaneo e introdotto solo in caso di depressione economica, oppure quando c’è “un’enorme scarsità di risorse” è, di per sé, straordinario.

La crisi attuale dell’Eurozona e dell’Italia, in particolare, non è affatto straordinaria, dato il disegno del sistema monetario che è stato introdotto. E’ andato sempre a convergere su recessione e stagnazione. L’andamento attuale dell’Eurozona è più o meno esattamente quello che è stato previsto nei primi anni ’90 da coloro che si opponevano alla creazione dell’unione monetaria.

La sovranità è caratteristica intrinseca di un governo responsabile. Non deve essere ripristinata quando vi è una profonda recessione e poi ritirata di nuovo.

Conclusione

Ciò che non è divulgato da questi autori e da altri che propongono questi sistemi ibridi è il perché essi vogliono tenersi stretto l’euro. L’Italia starebbe molto meglio se si lasciasse l’Eurozona alle spalle e ristabilisse incondizionatamente la sovranità monetaria. Non solo in caso di depressione!

Perché si fanno tutti questi sforzi per inventare ‘schemi ingegnosi’ che mantengono l’euro, e (si sopporta) tutto l’inutile peso che lo rende impraticabile come sistema monetario?

Questo è abbastanza per oggi!

Spargi la voce…

 

Originale pubblicato il 25 settembre 2014

Traduzione a cura di Marco Medici


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