Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana.
Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli?
Questo non è un uomo libero.
Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io.
SANDRO PERTINI
Presidente della Repubblica Italiana (1978 – 1985)
La Carta di Madrid riprende la frase di Sandro Pertini (leggi l’intero paragrafo qui) per ricordare che alcuni principi fondamentali, come libertà ed equità, rimarranno parole vuote sino a quando lo Stato non riacquisirà la competenza di creare la valuta in regime di monopolio, dotandosi dunque della capacità finanziaria sufficiente a garantire sempre e comunque la piena occupazione.
Non si può parlare di equità restando prigionieri delle politiche di austerità. Non è il momento di pensare in piccolo lasciando intatto il funzionamento del sistema nel suo complesso senza rimuovere la piaga dell’austerità e i suoi effetti. La politica deve tornare ad offrire alla società una capacità di visione del futuro che le consenta di progredire verso la felicità sociale, verso un sistema in cui la vita sia scelta e non subita.
Essere monopolisti della valuta è una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire l’equità. Ci sono Stati monopolisti della valuta che volutamente scelgono di non garantire una reale mobilità sociale, l’accesso alla sanità universale, un’istruzione rispondente alle proprie aspirazioni a prescindere dal reddito, l’assistenza alle persone con disabilità e soprattutto un lavoro.
La narrazione del libero mercato che premia chi merita nasconde l’amara verità: i meritevoli sono ben pochi e vengono premiati perché sono partiti da condizioni di netto vantaggio. L’assenza dell’intervento dello Stato è il colpo di grazia per le aspirazioni di quei giovani che non hanno i mezzi per esprimere le proprie potenzialità, delle persone con disabilità che vivono in territori privi di servizi, dei disoccupati in territori senza posti di lavoro.
In “Piena occupazione attraverso l’impresa sociale” Pavlina Tcherneva affronta la questione di come lo Stato monopolista della valuta sia in grado di garantire a tutti l’accesso al lavoro e soprattutto il bisogno di ognuno di noi di contribuire allo sviluppo del proprio territorio.
“… I leader delle comunità sanno bene che molti uomini e donne che vivono in condizione di povertà, hanno bassi livelli di istruzione e sono considerati ‘non adatti al lavoro’ dal settore privato, hanno in realtà una buona percezione dei bisogni urgenti delle loro comunità e molte buone idee su come affrontarli. Quello che non hanno sono l’opportunità e il supporto istituzionale per farlo. Per mettere in pratica un piano JG di base, non c’è bisogno di una grande pianificazione e di processi decisionali statali. Il settore no-profit, la cui ragion d’essere è quella di affrontare i bisogni sociali, può creare i lavori necessari e implementare i progetti, se ha le risorse necessarie. Quello che è richiesto al Governo federale è sollecitare le proposte, valutare i progetti nel modo in cui farebbe con qualsiasi contratto [da stipulare] con il settore privato, svolgere con diligenza l’attività di presentazione di resoconti e controllo della qualità, e allocando i finanziamenti per stipendi e materiali (e in molti casi i finanziamenti non dovrebbero essere del 100%).”
Leggi l’intero paper della Tcherneva qui.
La rubrica estiva Dieci temi per capire il presente si chiude con questa frase di Bill Mitchell, secondo cui dobbiamo appropriarci delle conoscenze e non lasciarle in un cassetto per cambiare il futuro, verso una vera equità e giustizia sociale.