La Teoria

MMP Blog #34: Finanza Funzionale e Regimi di Tasso di Cambio: Il Dibattito sui Deficit Gemelli

MMP Blog #34: Finanza Funzionale e Regimi di Tasso di Cambio: Il Dibattito sui Deficit Gemelli

Nelle scorse settimane abbiamo esaminato l’approccio della finanza funzionale di Abba Lerner. È chiaro che Lerner stava analizzando il caso di un Paese con valuta sovrana (o ciò che molti chiamano valuta “fiat”). Solo lo Stato sovrano può scegliere di spendere di più ogniqualvolta esiste disoccupazione; e solo lo Stato sovrano può aumentare le riserve bancarie e ridurre i tassi d’interesse (a breve termine) al livello target. È importante notare che Lerner stava scrivendo nel momento in cui si stava creando il sistema di Bretton Woods — un sistema di tassi di cambio fissi basato sul Dollaro. Sembrerebbe pertanto che Lerner intendesse che il suo approccio della finanza funzionale si applica al caso di una valuta sovrana, indipendentemente dal regime di tasso di cambio scelto.

È necessario comunque ricordare che, all’epoca di Lerner, tutti i Paesi adottavano stringenti controlli sui capitali. Usando i termini del “trilemma”, essi avevano un tasso di cambio fisso e una politica nazionale indipendente, ma non consentivano che i flussi di capitale circolassero liberamente [tra i Paesi]. Abbiamo visto che il margine di manovra della politica nazionale è il più ampio possibile nel caso di una valuta fluttuante, ma l’adozione di controlli sul movimento di capitali combinata ad un tasso di cambio gestito o fisso può comunque preservare un margine di manovra della politica nazionale notevole. Quest’ultima ipotesi è probabilmente quella che Lerner aveva in mente. La maggior parte dei Paesi con regime di tasso di cambio fisso e libera circolazione di capitale non sarebbe in grado di perseguire i due principi della finanza funzionale di Lerner perché le loro riserve di valuta estera sarebbero minacciate (solo un pugno di Paesi ha accumulato una quantità di riserve tale da renderne la posizione inattaccabile). Tassi di cambio gestiti o fissi e qualche vincolo alla circolazione dei flussi di capitale, possono dare il margine di manovra alla politica nazionale necessario a perseguire l’obiettivo della piena occupazione.

Concludiamo: i due principi della finanza funzionale possono essere applicati direttamente ai Paesi sovrani che operano con una valuta fluttuante. Se la valuta è vincolata, allora il margine di manovra politica è più limitato ed il Paese potrebbe dover adottare controllo sui capitali al fine di proteggere le sue riserve internazionali mantenendo la fiducia nel suo vincolo.

Il Dibattito sui Deficit Gemelli in USA. Negli Stati Uniti, i falchi del deficit spesso sollevano tre obiezioni riguardo al deficit di bilancio federale persistente: a) il deficit costituisce un rischio di solvibilità che potrebbe costringere il Governo a dichiarare default sul suo debito; b) costituisce un rischio di inflazione, o persino iperinflazione; c) impone un fardello sui nostri nipoti, che dovranno ripagare per l’eternità interessi ai Cinesi, i quali stanno accumulando Titoli di Stato USA e, con essi, anche potere sul destino del Dollaro. Tutto ciò porta spesso ad affermare che il Dollaro USA correrebbe il rischio di perdere il suo status di valuta di riserva internazionale.

Abbiamo visto che il deficit e il debito di bilancio nazionale non sono importanti finché c’è solvibilità nazionale. L’emettitore sovrano della valuta non può essere costretto ad un default involontario. Abbiamo anche affrontato i possibili effetti inflazionistici della spesa a deficit (e continueremo in seguito). Per riassumere nel modo più breve possibile quel ragionamento: in corrispondenza del punto di piena occupazione, una spesa a deficit aggiuntiva sarà quasi certamente inflazionistica, e i confini dell’inflazione si possono raggiungere persino prima della piena occupazione. Tuttavia, il rischio di iperinflazione per un Paese sovrano come gli USA è basso.

Più tardi ci dedicheremo alla relazione tra deficit di bilancio, deficit commerciale ed accumulo di Titoli di Stato da parte del settore estero, al fardello degli interessi che si suppone sia imposto sulle spalle dei nostri nipoti, ed alla possibilità che il settore estero potrebbe decidere di abbandonare il Dollaro.

Vediamo di delineare il contesto esaminato a fondo nei precedenti blog. A livello aggregato, il deficit pubblico è pari al surplus del settore privato. Possiamo dividere il settore privato in una componente nazionale ed una componente estera. Come mostra l’identità dei saldi settoriali macroeconomici USA, il deficit del Governo è pari alla somma del surplus del settore privato nazionale e del deficit delle partite correnti (ossia il surplus del settore estero). Terremo da parte la discussione sui comportamenti che hanno portato gli USA alla realtà attuale — caratterizzata da un ampio deficit di bilancio federale, pari ad un (ampio) surplus del settore privato (che spende meno del proprio reddito) sommato ad un deficit delle partite correnti piuttosto ampio (in gran parte risultante da un saldo commerciale USA in cui le importazioni eccedono le esportazioni).

Dietro l’identità si nasconde una relazione positiva tra il deficit di bilancio e il deficit delle partite correnti. A parità di tutti gli altri fattori, un deficit di bilancio pubblico fa aumentare la domanda aggregata in modo da far sì che le importazioni USA eccedano le esportazioni USA (i consumatori americani sono in grado di acquistare più importazioni poiché il saldo fiscale statunitense genera reddito per le famiglie, utilizzato da queste per acquistare prodotti esteri, più di quanto sia speso all’estero per acquistare prodotti USA). Esistono altre possibili strade che possono generare una relazione tra un deficit pubblico e un deficit delle partite correnti (alcuni fanno riferimento agli effetti sui tassi d’interesse e di cambio), ma sono – nel migliore dei casi – di importanza secondaria, se non errate.

Per riassumere: un deficit del Governo USA può sostenere la domanda di produzione che, in parte, è realizzata al di fuori degli USA — così le importazioni USA aumentano più delle esportazioni, specialmente se il deficit di bilancio stimola l’economia americana e la fa crescere più rapidamente rispetto alle economie dei nostri partner commerciali.

Quando i Paesi esteri [partner] realizzano un surplus commerciale (e gli USA realizzano deficit commerciale), possono accumulare asset denominati in Dollari. Un’impresa estera che riceve Dollari, tipicamente, li scambia con valuta nazionale presso la propria Banca Centrale. Per questo motivo, una parte considerevole dei crediti in Dollari nei confronti degli USA finiscono nelle Banche Centrali estere. Siccome i pagamenti internazionali sono effettuati attraverso le banche anziché attraverso l’effettivo invio di banconote della Federal Reserve, i Dollari accumulati nelle Banche Centrali estere assumono la forma di riserve detenute presso la Fed — nient’altro che voci elettroniche sul bilancio della Fed. Queste riserve, di proprietà di residenti all’estero (in gran parte Banche Centrali), non fruttano interessi.

Siccome le Banche Centrali preferirebbero guadagnare un interesse, le convertono in Titoli di Stato USA — che sono davvero nient’altro che un’altra voce elettronica sul bilancio della Fed, sebbene essa sia periodicamente accreditata con gli interessi. Questa conversione da riserve a Titoli di Stato è analoga allo spostamento di fondi dal vostro conto deposito a vista ad un certificato di deposito (CD) presso la vostra banca, su cui l’interesse è pagato attraverso un semplice clic che aumenta la consistenza del vostro deposito. Analogamente, i Titoli di Stato sono dei CD che vengono accreditati con gli interessi tramite clic sulla tastiera della Fed.

Insomma, un deficit delle partite correnti degli USA si rifletterà in un accumulo di Titoli di Stato USA, detenuti principalmente da Banche Centrali estere. Ne potete avere testimonianza qui, nelle Figure 2 e 3.

Anche se questa situazione è di solito presentata come un “prestito” estero volto a “finanziare” il deficit di bilancio USA, è anche possibile vedere il deficit delle partite correnti USA come la fonte dei surplus delle partite correnti estere che possono essere accumulati in forma di Titoli di Stato. In un certo senso, è tendenza degli USA quella di incorrere simultaneamente in un deficit commerciale ed in un deficit pubblico che offre le risorse per “finanziare” l’accumulo estero di Titoli di Stato USA. Ovviamente dev’esserci la disponibilità da tutte le parti [coinvolte] affinché ciò avvenga — potremmo dire che bisogna essere (almeno) in due per ballare il tango — e la maggior parte del dibattito pubblico ignora il fatto che il desiderio della Cina di realizzare un surplus commerciale nei confronti degli USA è legato al suo desiderio di accumulare asset in Dollari. Allo stesso tempo, il deficit di bilancio USA contribuisce a generare il reddito nazionale che consente al nostro settore privato di consumare — parte del quale alimenta le importazioni, mettendo a disposizione dei residenti all’estero il reddito che consente loro di accumulare risparmi in Dollari, anche sotto forma di un accumulo estero di Titoli di Stato.

In altre parole, le decisioni non possono essere indipendenti. Non ha senso parlare di “prestito” cinese agli USA senza considerare anche il desiderio della Cina di realizzare esportazioni nette. Infatti, tutto ciò che segue è collegato (in maniera complessa, probabilmente): la disponibilità dei Cinesi a produrre per esportare, la disponibilità della Cina ad accumulare asset denominati in Dollari USA, la scarsità della domanda interna cinese che consente al Paese di realizzare un surplus commerciale, la disponibilità degli Americani ad acquistare prodotti esteri, il livello (relativamente) elevato di domanda aggregata USA che ha come conseguenza un deficit commerciale, e [tutti] i fattori che portano ad un deficit di bilancio pubblico USA. E naturalmente è anche più complicato di così, perché dobbiamo inserire nel discorso altri Paesi e anche la domanda aggregata globale.

Anche se spesso si sostiene che i Cinesi potrebbero decidere improvvisamente di non desiderare più Titoli di Stato USA, dovrebbe modificarsi almeno una — ma più probabilmente molte — di queste altre relazioni. Si teme, per esempio, che la Cina potrebbe decidere di accumulare invece Euro. Tuttavia, in Eurolandia non c’è l’equivalente del Tesoro USA. La Cina potrebbe accumulare debito denominato in Euro di singoli Paesi — diciamo la Grecia! — ma questi sono caratterizzati da indici di rischio differenti, e il volume complessivo [di debito] emesso dai singoli Paesi è verosimilmente troppo esiguo per soddisfare il desiderio cinese di accumulare riserve di valuta estera. Inoltre, Eurolandia considerata nel suo complesso (e questo è particolarmente vero per il Paese membro più forte, la Germania) tenta di limitare la domanda interna per evitare i deficit commerciali — il che significa che è difficile per il resto del mondo accumulare crediti denominati in Euro, perché generalmente Eurolandia non realizza deficit commerciali. Se gli USA sono un mercato primario per l’eccesso di produzione cinese, ma gli asset in Euro sono preferiti a quelli in Dollari, allora la variazione del tasso di cambio tra il Dollaro (relativamente abbondante) e l’Euro (relativamente scarso) potrebbe distruggere il mercato per le esportazioni della Cina.

Questo non si dovrebbe interpretare come un argomento per dire che la situazione corrente andrà avanti indefinitamente, anche se potrebbe persistere molto più a lungo di quanto la maggior parte dei commentatori presume. Ma i cambiamenti sono complessi, ed esistono forti incentivi a contrastare in qualche modo le variazioni semplici, repentine e marcate che vengono spesso proposte come scenari possibili. La complessità e l’interdipendenza tra i bilanci [dei due Paesi] assicurano che le transizioni saranno lente e moderate — non ci sarà alcun improvviso abbandono di Titoli di Stato USA, cosa che distruggerebbe il valore della ricchezza finanziaria detenuta dai Cinesi, così come [distruggerebbe] il mercato delle esportazioni su cui essi fanno attualmente affidamento.

Prima di concludere, facciamo un esperimento mentale per portare a casa un punto chiave. Per molti, il timore più grande è che il possesso da parte del settore estero di Titoli di Stato USA costituirebbe il fardello dei nipoti d’America — i quali, si crede, dovranno ripagare gli interessi ai residenti all’estero. A differenza dei Titoli di Stato detenuti entro i confini nazionali, quelli detenuti all’estero sono considerati un trasferimento da parte di qualche contribuente americano ad un detentore di Titoli estero (quando i Titoli sono detenuti da Americani, il trasferimento avviene tra un contribuente americano ed un proprietario di Titoli americano, [caso] ritenuto meno problematico). Perciò, si sostiene, il debito pubblico grava sulle future generazioni perché in parte è detenuto da residenti all’estero. Ora, in realtà l’interesse è pagato tramite clic su una tastiera — ma i nostri nipoti potrebbero decidere di aumentarsi le tasse per effettuare il pagamento d’interesse ai detentori cinesi di Titoli, ed imporre così il fardello temuto dai falchi del deficit. Continuiamo dunque con il nostro caso ipotetico.

Cosa accadrebbe se gli USA riuscissero ad eliminare il proprio deficit commerciale, così che le partite correnti fossero costantemente in pareggio? In tal caso, il deficit di bilancio USA dovrebbe essere esattamente pari al surplus del settore privato nazionale. Poiché gli stranieri non starebbero accumulando Dollari dal loro commercio con gli USA, essi non potrebbero accumulare i loro Titoli di Stato (si, potrebbero scambiare valute estere per ottenere Dollari, ma ciò provocherebbe un apprezzamento del Dollaro, rendendo così difficile mantenere un pareggio delle partite correnti). In tal caso l’ampiezza del deficit di bilancio non sarebbe un problema, gli USA non “avrebbero bisogno” di “indebitarsi” con la Cina per finanziarlo.

Questo chiarisce che il “finanziamento” estero del nostro deficit di bilancio dipende dal pareggio delle nostre partite correnti — i residenti all’estero devono esportare nei nostri mercati per poter “prestare” al nostro Governo. E, se le nostre partite correnti sono in pareggio, allora non importa quanto sia ampio il nostro deficit di bilancio pubblico: non “avremo bisogno” dei risparmi esteri per “finanziarlo” — perché il surplus del nostro settore privato nazionale sarà esattamente pari al nostro deficit pubblico. Infatti, si potrebbe ragionevolmente affermare che è il deficit di bilancio a “finanziare” il risparmio del settore privato nazionale.

Eppure, i falchi del deficit credono che il deficit di bilancio federale sarebbe più “sostenibile” se i residenti all’estero non accumulassero Titoli di Stato che si suppone costituiscano un fardello per le future generazioni di Americani. Ma come potrebbero gli USA eliminare il deficit delle partite correnti che consente agli stranieri di accumulare Titoli di Stato? Il metodo approvato dal Fondo Monetario Internazionale per equilibrare la bilancia commerciale è di imporre austerità. Se gli USA crescessero molto più lentamente rispetto a tutti i nostri partner commerciali, le importazioni crollerebbero e le esportazioni aumenterebbero. In effetti, la “grande recessione” iniziata nel 2007 negli USA ha ridotto il deficit commerciale — anche se solo in misura moderata, e probabilmente in modo temporaneo. Per eliminare il deficit commerciale ed assicurare che gli USA tengano un saldo commerciale in pareggio, potrebbe essere necessaria una recessione molto più profonda e persistente. Riducendo gli standard di vita americani in relazione a quelli del resto del mondo, il Paese potrebbe eliminare il suo deficit delle partite correnti ed assicurare così che i residenti all’estero non accumulino Titoli di Stato che, si dice, pesino sulle spalle delle future generazioni di Americani.

Ora: i falchi del deficit potrebbero, gentilmente, spiegare per quale motivo gli Americani dovrebbero desiderare di ridurre per sempre i loro standard di vita sulla base della promessa che ciò ridurrà in qualche modo il fardello che graverà sui nipoti della Nazione? Sembra piuttosto ovvio che i nipoti preferirebbero una maggiore crescita, ora e in futuro, così che l’America possa lasciar loro un’economia più robusta e standard di vita più elevati. Se ciò significa che tra trent’anni la Fed avrà la necessità di pigiare qualche tasto per aggiungere interessi ai depositi cinesi, che sia. E se i Cinesi decideranno, un giorno o l’altro, di usare i Dollari per importare, i nipoti dell’America saranno in una condizione migliore per produrre le cose che i Cinesi desiderano acquistare.

In conclusione, anche se ci sono collegamenti tra i “deficit gemelli”, non si tratta dei collegamenti che solitamente si immaginano. Il deficit commerciale e quello di bilancio USA sono collegati, ma non mettono gli USA in una condizione insostenibile vis-a-vis con i Cinesi. Se i Cinesi ed altri esportatori netti (come il Giappone) preferiranno meno asset in Dollari, ciò sarà legato ad un desiderio di vendere meno prodotti all’America. Questo è uno scenario particolarmente verosimile per i Cinesi, che stanno sviluppando rapidamente la propria economia e creando un Paese di consumatori. Ma la transizione non sarà repentina. Il deficit delle partite correnti USA nei confronti della Cina si ridurrà, esattamente come diminuiranno le vendite di Titoli di Stato USA ai Cinesi (per offrire un’attività fruttifera sostitutiva alle riserve presso la Fed). Ciò non comporterà una crisi. Il Governo USA non prende in prestito Dollari dai Cinesi per finanziare la spesa a deficit, e per la verità non può farlo. Piuttosto, il deficit delle partite correnti USA offre i Dollari che i Cinesi usano per acquistare gli asset in Dollari più sicuri del mondo — i Titoli di Stato USA.
Per essere chiari: il Dollaro, probabilmente, non resterà la valuta di riserva del mondo. Dalla prospettiva degli USA, questo potrebbe costituire una delusione. Nella lunga prospettiva della storia, è irrilevante. È quasi indubbio che la Cina diventerà la più grande economia del mondo. La sua valuta è un candidato plausibile [ad assumere il ruolo] di valuta di riserva internazionale, ma non si tratta di una conclusione scontata — né di qualcosa da temere.

 

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Originale pubblicato il 29 gennaio 2012

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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