Teoria
La tassazione in valuta, imposta coercitivamente dallo Stato in forza del suo potere militare, ha generato il bisogno di procacciarsi valuta nel settore privato. Questo bisogno, da noi identificato con il termine “domanda di valuta”, porta il settore privato ad offrire lavoro, beni e servizi allo Stato, monopolista della valuta, in cambio della stessa.
A questo punto si pone la scelta, da parte dello Stato, di comprare o meno tutta la forza-lavoro offerta dal settore privato. Evidentemente, se la scelta dovesse essere quella di non comprare tutta l’offerta di lavoro, all’interno del settore privato resterebbero soggetti che, pur essendo disposti a lavorare in cambio di valuta, non vengono occupati né, tantomeno, remunerati. Questa condizione risponde esattamente alla definizione di disoccupazione.
Per non lasciare nulla al caso, definiamo meglio il termine:
È disoccupato chi offre la propria forza-lavoro in cambio di valuta ma non trova nessuno disposto ad acquistarla.
Al contrario, non è disoccupato chi:
- non offre il proprio lavoro (non “cerca lavoro”),
- offre lavoro volontario (non remunerato),
- offre un lavoro remunerato in un oggetto diverso dalla valuta.
La disoccupazione è quindi possibile solamente in un sistema monetario: se non esistesse la valuta, nessuno offrirebbe il proprio lavoro per ottenerla. In mancanza di un’offerta, nessuno avrebbe occasione di respingerla… Anzi: la disoccupazione è denominata in una specifica valuta, siccome chi offre il proprio lavoro lo offre in cambio di quella determinata valuta. Potremmo dire che si è disoccupati “in euro”, “in sterline”, “in franchi”, ecc.
Ma richiamiamo le considerazioni fatte nella sezione precedente: ogni volta che il monopolista spende, esso crea valuta nel settore privato; ogni volta che riscuote le tasse, esso distrugge valuta. Ciò che il settore privato “risparmia”, ovvero la quantità di valuta che resta nel settore privato dopo un ciclo di spesa e tassazione, è equivalente a ciò che lo Stato ha speso ma non ancora riscosso: il deficit pubblico.
Dunque, se il desiderio di risparmio netto del settore privato fosse maggiore di zero (come accade da quando esistono le valute), solo un equivalente deficit pubblico potrebbe soddisfarlo. Ma se il settore privato desidera accumulare nuova valuta, allora esso è anche disposto a vendere lavoro, beni e servizi al monopolista della valuta in misura superiore rispetto a quanto basterebbe per pagare le tasse. La totalità della domanda di valuta sarà data perciò dall’ammontare della tassazione sommata al risparmio desiderato, e identica sarà l’offerta di lavoro che il monopolista della valuta si troverà a fronteggiare.
Dunque è chiaro che la condizione affinché si abbia piena occupazione, ovvero affinché tutta l’offerta di lavoro venga comprata, è che il monopolista scelga di spendere a sufficienza per coprire l’ammontare dell’intera domanda di valuta. Ciò è equivalente a dire che si può avere piena occupazione solamente se il monopolista della valuta accetta di spendere in deficit un ammontare equivalente alla volontà di risparmio netto del settore privato.
Se il deficit effettivo dovesse essere inferiore a tale volontà di risparmio netto, ciò si tradurrebbe inevitabilmente nella presenza di alcuni soggetti che vorrebbero vendere la propria forza-lavoro al monopolista, rimanendo tuttavia disoccupati.
In altre parole:
La disoccupazione è la prova che il deficit è troppo piccolo
[W.B. Mosler]
Esempio
La tassazione di 1˙000 sterline giornaliere, imposta al popolo ghanese dal governo inglese, obbliga i Ghanesi a lavorare per evitare che la propria capanna venga bruciata. Il salario offerto dal governo ammonta a una sterlina all’ora, quindi il popolo ghanese deve offrire almeno 1˙000 ore di lavoro al monopolista della valuta, il governo inglese.
Nella sezione precedente abbiamo già ipotizzato che il popolo desideri mettere da parte 500 sterline per poter eventualmente pagare tasse future, esprimendo quindi una “volontà di risparmio netto” di 500 sterline.
In totale, quindi, il popolo ghanese offre al governo inglese 1˙500 ore di lavoro: 1˙000 per pagare le tasse, 500 per poter risparmiare.
Immaginiamo, diversamente da come abbiamo fatto precedentemente, che il governo inglese decida di spendere, nella giornata in questione, un massimo di 1˙300 sterline [1]. Questo equivale ad acquistare solo 1˙300 delle 1˙500 ore di lavoro offerte, lasciando senza occupazione e remunerazione coloro i quali offrono le restanti 200 ore. Costoro, a tutti gli effetti, sono disoccupati, siccome offrono lavoro in cambio di valuta ma non trovano nessuno disposto ad acquistarlo.
A livello finanziario, il governo inglese registra una spesa di 1˙300 sterline, per poi riscuotere 1˙000 di esse con la tassazione. Il deficit, la differenza tra spesa e tasse, ammonta quindi a 300 sterline.
Osserviamo che il desiderio di risparmio dei Ghanesi, che ammontava a 500 sterline, era di 200 sterline superiore al deficit effettivo del governo inglese. Proprio le 200 sterline mancanti, associate alle 200 ore di lavoro offerte ma non comprate.
Se, al contrario, il governo avesse speso 1˙500 sterline, queste sarebbero state sufficienti a comprare tutta l’offerta di lavoro, determinando la piena occupazione.
Osserviamo quindi come la condizione di piena occupazione sia una condizione sempre raggiungibile da uno Stato monopolista della valuta che riscuote in pagamento delle tasse.
Note dell’Autore
1.^ Ad esempio per non lasciare troppa valuta in mano alla popolazione a fine giornata, poiché questo potrebbe sfociare in una minore offerta di lavoro il giorno successivo.
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