Principio 3: La teoria del moltiplicatore della moneta in base al quale la Banca Centrale si impegna a fissare direttamente [l’ammontare delle] riserve bancarie o [della] base monetaria non è sostenibile in pratica. L’unico target diretto possibile è il tasso d’interesse.
Come quasi tutti gli studenti di economia all’inizio imparano (almeno negli USA), la teoria del moltiplicatore della moneta del sistema bancario centrale suggerisce che la banca centrale modifica direttamente la base monetaria, che – poi – le consente di regolare l’offerta aggregate di moneta attraverso un effetto moltiplicatore determinato in primo luogo dal coefficiente di riserva obbligatoria.
Coloro che si appellano al modello del moltiplicatore della moneta spesso danno per scontato il fatto che la banca centrale possa usare la base monetaria o le riserve bancarie come target operativi diretti. Questo principio dimostra che le operazioni della banca centrale non sono, di fatto, coerenti con [la teoria del] moltiplicatore della moneta e che il target operativo diretto della banca centrale è necessariamente il tasso d’interesse.
La base monetaria è composta dalla moneta [in circolazione] (incluso il contante in cassaforte) più le riserve bancarie; la quota di circolante – nella maggior parte dei casi – ha un peso preponderante. Ma la moneta [in circolazione] è anche completamente endogena in termini di controllo. Lungi dalla descrizione dei “lanci dall’elicottero” di Milton Friedman, le banche centrali trasferiscono la moneta in circolazione alle banche che hanno bisogno di riempire nuovamente la cassaforte, in risposta al desiderio di liquidità dei loro clienti.
Allo stesso modo, piuttosto che essere una fonte di creazione di moneta esogena – come la teoria del moltiplicatore della moneta suggerisce – un aumento della moneta in circolazione è, semmai, una risposta alla creazione della moneta esogena. Di conseguenza, la quota di moneta [in circolazione] della base monetaria non si comporta come suggerisce la teoria del moltiplicatore della moneta.
Riguardo alla quota della base monetaria (destinata a) riserva bancaria, si consideri una banca centrale che tenti di offrire saldi (aggregati) in quantità tali da differire in modo significativo dai bisogni delle banche per regolare i pagamenti o soddisfare i parametri di riserva obbligatoria. Questo sarebbe una tattica operativa molto discutibile, a dire poco.
Come nel Principio 2, le banche centrali sono monopoliste dell’offerta di riserve bancarie e sono – perciò – obbligate ad assicurare il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento nazionali; (esse) così concedono credito intraday o overnight ad un qualche prezzo [tasso d’interesse, ndt]. Allo stesso modo, “sembrerebbe inappropriato o persino legalmente discutibile che la banca centrale usasse il suo potere per comprimere il mercato in modo da non rendere possibile alle banche rispettare i parametri di riserva obbligatoria” (Bindseil 2004, p. 236). In pratica, e come citato in precedenza, le singole banche che non rispettano i parametri di riserva obbligatoria, automaticamente ricevono un prestito dalla banca centrale ad un tasso di penalizzazione predeterminato, proprio come politica di scoperto associata al saldo dei pagamenti [attuata] dalla banca centrale.
Poiché la domanda di riserve bancarie è molto inelastica su base giornaliera (quando i bisogni di [regolare] i pagamenti prevalgono sulla domanda delle riserve) o quantomeno alla fine del periodo di mantenimento (quando prevale [l’esigenza di rispettare i] parametri di riserva obbligatoria), offrire riserve in quantità maggiore o minore rispetto a quelle che le banche desiderano detenere – a livello aggregato – avrà come esito semplicemente la riduzione del tasso interbancario rispetto al tasso che le banche guadagnano sui saldi nei conti di riserva (se c’è eccesso d’offerta di riserve) o nell’aumento del tasso di penalizzazione stabilito dalla banca centrale sugli scoperti (se, diversamente, l’offerta è insufficiente).
Come tale, [definire un ammontare] target delle riserve, in realtà equivarrebbe di fatto a [definire] un tasso d’interesse target o al [livello di] tasso pagato sui saldi nei conti di riserva o al [livello del] tasso di penalizzazione stabilito dalla Banca Centrale. In pratica, un target operativo sulle riserve bancarie farebbe fluttuare il tasso interbancario tra questi due tassi, poiché la domanda di riserve da parte delle banche può variare in modo significativo da un giorno all’altro (dipendendo dalle peculiarità del sistema nazionale di dei pagamenti e dal regime di riserva obbligatorio).
Comunque, una volatilità significativa del tasso overnight non è desiderabile, come un membro del Consiglio dei Governatori della Fed ha spiegato,
Un aumento significativo della volatilità del tasso dei fondi federali sarebbe preoccupante perché inciderebbe sugli altri tassi overnight, facendo aumentare – per la maggior parte delle grandi banche, per coloro che emettono titoli e per gli altri attori dell mercato monetario – i rischi di finanziamento. Coloro che offrono fondi ai mercati overnight, incluse molte piccole banche e istituzioni finanziarie locali di risparmi e prestiti, affronterebbero una maggiore incertezza sui loro rendimenti e gli [altri] attori del mercato sosterrebbero costi addizionali nella gestione dei loro finanziamenti per limitare la loro esposizione all’accresciuto rischio. (Meyer 2000, 4)
Persino nella teoria economica neoclassica, tale volatilità nel tasso overnight diverrebbe problematica da una prospettiva di politica monetaria “se [fosse] trasmessa alle scadenze considerate direttamente rilevanti per le decisioni degli agenti economici (Bindseil 2004, 100-101).
Come risultato, persino quando la strategia definita dalla Fed negli anni tra il 1979 e il 1982 fu quella di stabilire un livello di riserva aggregata target relativo alle riserve non prese in prestito, al fine di evitare che la volatilità del tasso dei fondi federali divenisse eccessiva – [cosa] che era altamente probabile dato che le riserve bancarie non erano remunerative mentre c’erano anche costi penalizzanti storicamente associati all’operazione di prendere a prestito dalla Fed – la reale tattica impiegata assicurò che il tasso dei fondi federali rimanesse in un intervallo accettabile, come confermato in Meulendyke (1988). Perciò, Moore (1988) etichettò questa tattica [come fosse volta a] “stabilire indirettamente un tasso d’interesse”, malgrado le dichiarazioni pubbliche della Fed.
Generalmente, poi, l’obiettivo operativo nel settore delle banche centrali è necessariamente un obiettivo di tasso d’interesse, considerati l’obbligo della banca centrale in relazione al sistema dei pagamenti, le responsabilità associate alla supervisione e alla regolamentazione delle riserve obbligatorie (dove necessarie) e il bisogno di minimizzare la volatilità dei tassi nel mercato monetario.
Gli aggregati di riserva, la base monetaria o gli aggregati monetari possono essere prefissati solo indirettamente attraverso la manipolazione del tasso d’interesse target – sebbene il legame tra queste [grandezze] abbia mostrato d’essere piuttosto inaffidabile poiché i prestiti e i depositi sono creati nel momento in cui coloro che prendono a prestito e godono di merito creditizio – e le cui motivazioni spesso non sono facilmente spiegate solo dal tasso d’interesse target definito della banca centrale – prendono l’iniziativa.
Naturalmente, l’assunzione chiave del modello del moltiplicatore della moneta – quello [in base al quale] aumenti delle riserve bancarie o della base monetaria creano le condizioni per la creazione di moneta esogena (o viceversa) – viola il Principio 1. Poiché i prestiti creano depositi, nessuna delle due [grandezze] può produrre “finanziamenti” addizionali per i prestiti bancari. Gli economisti neoclassici ora riconoscono che le banche centrali usano i tassi d’interesse come target operativi, piuttosto che la base monetaria o un [livello] aggregato di riserve.
Comunque, nella maggior parte dei casi, essi hanno accolto i tassi d’interesse target solo dopo aver accettato con riluttanza la non prevedibilità della velocità [di circolazione] della moneta come una realtà oggettiva della vita attuale; perciò, ancora mantengono una visione dell’offerta della moneta come [fosse] esogenamente determinata attraverso la base monetaria o le riserve bancarie.
Inoltre, un numero significativo di economisti – molti dei quali sono associati con la FED di St. Louis – rimangono “fedeli” all’offerta di moneta [come] target e continuano a cercare senza tregua una misura perfetta della moneta o a prevedere in anticipo senza tregua il rendimento di comportamenti in relazione alla velocità della moneta (e.g., Anderson and Rasche 1996, Anderson et al. 2003).
Quindi, non è ben compreso tra i neoclassici che la teoria del moltiplicatore della moneta non è mai stata sostenibile in pratica, come già i post-Keynesiani e i Circuitisti hanno compreso da decenni.
Paper originale pubblicato il 1 giugno 2008
Traduzione a cura di Maria Consiglia Di Fonzo