Approfondimento

Il Reddito d’Inclusione non risolve la povertà

Il Reddito d'Inclusione non risolve la povertà

Il Reddito d’inclusione (Rei) entrerà in vigore il prossimo 1° gennaio 2018 (Decreto Legislativo n. 147). Quella che il governo definisce la nuova misura di contrasto alla povertà prevede l’erogazione di un assegno che va dai 190 euro mensili per il singolo fino a quasi 490 per un nucleo famigliare formato da 5 o più componenti, per un totale di 12 mensilità.

Con la legge di bilancio il Governo ha previsto uno stanziamento di 1,7 miliardi a partire dal 2018 ma, successivamente, il Consiglio dei Ministri ha varato una manovra che stanzia ulteriori 300 milioni aggiuntivi l’anno.

Il reddito di inclusione sostituirà l’attuale Sostegno di inclusione attiva (Sia) e l’assegno di disoccupazione (Asdi). Secondo gli ultimi dati Eurostat, l’Italia ha un tasso di rischio povertà [1] del 28,7%, un livello paragonabile a quello della Spagna, Irlanda e Portogallo, ma ha il primato in Europa nel numero assoluto di persone a rischio povertà: 17,47 milioni (contro i 15,08 milioni del 2008).

Secondo le stime dovrebbero beneficiarne 500mila famiglie.

L’Alleanza contro la povertà, una rete di 35 associazioni del sociale nata nel 2013, chiede al governo uno sforzo ulteriore pari a 5 miliardi in più. Secondo le loro stime, infatti, solo il 38% delle persone che versano in una condizione di povertà riceverà il Rei, dunque 1,8 milioni di persone contro il 62% che ne verrà escluso. Tra questi, il 41% dei bambini. E il 90% degli anziani over 66.

Si può contrastare efficacemente la povertà senza agire sulle cause che la determinano?

Se prendessimo la lente d’ingrandimento vedremmo che il problema è tutto fuorché un problema micro. È un problema macroeconomico: la povertà è la conseguenza diretta delle politiche di austerità che di anno in anno promuovono i tagli alla spesa pubblica. La povertà è in aumento perché le politiche di austerità non diminuiscono. La povertà è la diretta conseguenza del vincolo del 3% del deficit in rapporto al Pil (peraltro privo di qualsiasi fondamento scientifico), che ha trasformato un grave problema (la povertà) in un elemento strutturale del sistema.

Il paradosso è che il governo finge di prodigarsi per risolvere il problema della povertà stanziando poco meno di 2 miliardi di euro l’anno ma contemporaneamente si muove nella direzione della spending review su tutti gli altri fronti, impoverendo la collettività.

Il Commissario alla revisione della spesa Yoram Gutgeld, con orgoglio vanta di un’Italia che negli ultimi anni è diventata la più virtuosa sul versante della spending review. Ma a governi virtuosi nell’eurozona corrispondono cittadini più poveri.

Noi pensiamo che la virtù di un Paese risieda nelle condizioni di vita in cui versa la popolazione e non nell’avere i conti pubblici in ordine. Le persone dovrebbero tornare al centro dell’agenda politica perché, oggi più che mai, ci troviamo a vivere una realtà che il grande economista Federico Caffè comprese già tempi addietro:

Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili

 

Note

1.^ Il rischio di povertà o esclusione sociale si configura quando una persona vive almeno una delle seguenti condizioni: insufficienza delle risorse economiche dopo i trasferimenti sociali, grave deprivazione materiale, bassa intensità lavorativa del nucleo familiare.


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