Approfondimento

Perché l’Europa sta celebrando il 60° anniversario del Trattato di Roma? (1)

Perché l'Europa sta celebrando il 60° anniversario del Trattato di Roma? (1)

Il piccolo Stato di Malta (circa 420 mila abitanti), l’unico tra due nell’Eurozona ad avere l’inglese tra le sue lingue ufficiali, attualmente detiene la presidenza dell’UE per il 2017. È un compito, questo, introdotto nel 2009 con il Trattato di Lisbona, e permette a un Paese di influenzare l’agenda dell’Unione europea. Le regole impongono che Malta condivida questo compito con altri due Paesi (Olanda e Slovacchia) per formare la cosiddetta Presidenza a Tre. Ci sarà molto da dire, saranno prodotti molti articoli e molte sono le bandiere ed i poster che stanno comparendo a Valletta (la capitale fortificata di Malta), ma non aspettatevi che ne derivi granché. L’altro elemento che riguarda il 2017 e l’UE è che verso la fine di questo mese si celebrerà il 60° anniversario della firma del Trattato di Roma (firmato il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1958). La Commissione europea è chiaramente propensa a dare l’impressione che il Trattato di Roma sia stato il primo della serie di passaggi che hanno reso l’Europa quella che è oggi. In un certo senso è vero. Ma in un senso più rilevante quest’affermazione è un’assurdità. La realtà è che le successive revisioni del Trattato (quelle di Maastricht e Lisbona) hanno rappresentato importanti cambiamenti, paradigmatici o ideologici, del modo in cui si sarebbe dovuta governare l’Europa. Il Trattato di Roma riconosceva che una limitata cooperazione economica avrebbe potuto portare benefici a tutti i Paesi partecipanti fintanto che fosse stata attenuata o gestita da un sistema di intervento statale ad ampio raggio. I trattati successivi rappresentano uno spostamento: da una situazione in cui gli Stati membri hanno la capacità di assicurare la piena occupazione, ad una in cui sono inclini a costringere all’austerità e a generare livelli di disoccupazione elevati e persistenti e povertà per volere dei signori ideologici che fanno parte della Commissione europea, che non sono eletti né responsabili nei confronti della popolazione europea che affermano di rappresentare. Quindi… perché [l’Europa] celebra il 60° anniversario di un modo di fare politica economica e di costruire uno Stato che ora ha rigettato completamente?

La pagina ufficiale del 60° anniversario sostiene che:

Sessant’anni fa, a Roma furono gettate le basi per l’Europa che conosciamo oggi e che ha inaugurato il più lungo periodo di pace documentato nella storia dell’Europa.

Il Trattato di Roma ha istituito un mercato comune in cui persone, beni, servizi e capitali possono muoversi liberamente ed ha creato condizioni di prosperità e stabilità per i cittadini europei.

Beh la parte della pace non è che sia proprio vera, no? [Si consideri] La disintegrazione della Jugoslavia, per esempio.

E la parte che riguarda la “prosperità e stabilità per i cittadini europei”… Cosa ne direbbero i Greci che da teenager ora sono diventati adulti e non hanno mai avuto la possibilità di avere un lavoro?

Cosa ne direbbero i Greci che non possono acquistare i medicinali di base?

E tutto il resto.

Ma sto divagando.

In una delle mie presentazioni della settimana scorsa a Maastricht (la prima, di cui al momento non ho il video né l’audio) ho parlato brevemente del Trattato di Roma.

Il Trattato di Roma (conosciuto ufficialmente come Trattato che Istituisce la Comunità Economica Europea) istituì la Comunità Economica Europea (CEE).

I firmatari furono Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda e Germania dell’Ovest. Il Trattato segnò l’inizio di una percepita necessità di una più stretta cooperazione economica tra gli Stati membri relativamente al commercio (da cui l’enfasi sull’istituzione dell’unione doganale – “il Mercato Comune”) ed alle politiche comuni in materia di agricoltura e trasporti.

Da allora sono state due le principali revisioni: il Trattato di Maastricht [che], curiosamente, ha rimosso “Economico” dal titolo ufficiale e, nel 2009, il Trattato di Lisbona, [che] ha rinominato l’intero accordo in “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.

I primi sviluppi postbellici, guidati dagli interessi francesi a porre un freno alle aspirazioni militari della sconfitta Germania, iniziarono nel 1951 con il Trattato di Parigi. Questo accordo faceva parte della ricostruzione dell’Europa (con il Piano Marshall) ed istituì la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).

Ma si trattò di un piano francese (condotto da Jean Monnet, a capo del Ministero Francese della Pianificazione, e da Robert Schuman, Ministro degli Esteri francese) per la gestione comune delle produzioni di carbone e acciaio di Francia e Germania da parte di un nuovo organismo sovranazionale. Dopodiché [gli] altri Stati membri avrebbero potuto aderire.

Il piano prevedeva inequivocabilmente di porre un freno all’azione offensiva tedesca e di iniziare il lungo processo di riammissione della Germania in Europa dopo il raccapricciante comportamento tenuto durante la Seconda Guerra Mondiale.

A quel tempo, l’assenso francese alla creazione di istituzioni a livello europeo era più volta ad assicurarsi che la Germania non avrebbe mai più potuto dichiararle guerra che non ad un grandioso desiderio di un’entità sovranazionale.

Nel 1950 l’Ufficio per la Pianificazione, sotto la guida di Jean Monnet, nella redazione della bozza di proposta per l’istituzione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio dichiarò:

Il governo francese propone un’azione immediata su un unico, ma decisivo, punto… La solidarietà nella produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile.

All’interno di quest’ampio quadro politico, le discussioni sull’integrazione furono condizionate dalla persistente rivalità franco-tedesca. La Francia era determinata a creare strutture istituzionali che impedissero per sempre alla Germania di invaderla di nuovo.

Questa vedeva nell’Europa integrata un modo per consolidare un ruolo dominante negli affari europei, ma per raggiungere questi scopi era determinata a cedere il meno possibile in termini di sovranità.

La Francia provava anche risentimento nei confronti dell’influenza che gli USA stavano esercitando in Europa, in particolare attraverso il Piano Marshall, che intrinsecamente legava la Germania dell’Ovest agli USA.

I Tedeschi, soffrendo di una profonda vergogna per il loro passato militare e le relative gesta, non avevano altro che il proprio successo economico, inclusa la “disciplina” della Bundesbank, per generare orgoglio nazionale.

Oltre alla necessità di espandere i suoi mercati di sbocco per le esportazioni, la Germania volle far parte del “Progetto Europeo” per dimostrare un rifiuto del proprio terrificante passato.

Ma un’ossessiva paura dell’inflazione fece sì che questa partecipazione dovesse sottostare alle condizioni della Germania, ossia che, alla fine, la nuova Europa avrebbe dovuto accettare la cultura della Bundesbank.

Divenne un processo insostenibile. All’interno del contesto di “stabilità” tedesco, venne apparentemente trascurato il fatto che la Germania, in effetti, per la sua prosperità faceva affidamento su una forte crescita delle importazioni degli altri Paesi europei. Il fatto che in un “contesto di stabilità” Bundesbank-centrico non tutti i Paesi avrebbero potuto avere un pareggio dei surplus commerciali venne ignorato.

Nel 1955, alla Conferenza di Messina in Italia, i membri della CECA si impegnarono a creare la Comunità Economica Europea (CEE).

Il Trattato di Roma fu il prodotto della successiva Conferenza Intergovernativa del Mercato Comune e dell’Euratom, tenutasi nel castello francese di Val Duchesse il 26 giugno 1956.

Anche se non è questo il punto che voglio discutere in questo blog, il Trattato di Roma, in effetti, fece davvero poco. Era pieno di dichiarazioni materne, procedurali, di visioni grandiose, ma l’unica cosa reale che venne stabilita fu la Corte di Giustizia Europea (articolo 177).

Inoltre, il punto che spesso non viene colto riguardo a questo documento fondamentale nel contesto della moderna Europa è che era pesantemente a favore della Francia occupata a discapito degli aggressori, Germania e Italia.

Ma la crescente forza tedesca nell’industria e nelle esportazioni divenne per la Francia una minaccia sempre più significativa. L’ambizione industriale tedesca richiese infine che la Francia scendesse a compromessi con la sua feroce resistenza a cedere anche solo una parte della propria sovranità nazionale ad un’istituzione europea.

La prima iniziativa sostanziale dell’appena nata CEE fu la creazione della Politica Agricola Comune (PAC), introdotta nel 1962 dopo molti anni di litigi tra Francia e Germania iniziati durante la Conferenza di Stresa del luglio 1958.

Il governo francese, in particolare, regolava pesantemente i prezzi agricoli in favore della potente lobby agricola francese ed era disposta a cedere solo lo stretto necessario a procurarsi, con l’accordo, i sussidi tedeschi.

I Francesi erano chiaramente motivati dal loro desiderio di proteggere i propri agricoltori, e la Germania voleva allargare alla Francia il mercato di sbocco delle sue esportazioni industriali.

Per raggiungere i propri obiettivi, i Tedeschi accettarono di fornire sussidi agli agricoltori francesi attraverso la PAC: una tensione snervante che persiste tutt’oggi.
Ma la fattibilità amministrativa della PAC richiese una grande stabilità dei tassi di cambio, perché una moltitudine di prezzi agricoli doveva essere supportata in tutta la Comunità.

Una volta che gli Stati membri si vincolarono alla PAC, furono anche costretti a perseguire l’impossibile compito di mantenere tassi di cambio fissi.

Negli anni ’60 del Novecento, via via che la forza delle esportazioni tedesche aumentava, il marco tedesco divenne la valuta più forte, cosa che mise Francia ed Italia sotto la costante pressione della svalutazione e della stagnazione interna e che minò la PAC.

Da quel momento, i vari accordi per mantenere fisse le parità tra le valute europee fallirono malamente per via delle diverse capacità di esportazione degli Stati membri.

Ma invece di scegliere l’opzione di buon senso ed abbandonare il desiderio di tassi di cambio fissi, quando nel 1971 il sistema di Bretton Woods crollò, i leader politici europei accelerarono il processo di creazione di una valuta comune. Le lezioni che erano derivate dal fiasco di Bretton Woods non furono comprese.

Il disastro della PAC avrebbe dovuto insegnare ai Paesi europei che la formazione di un’unione valutaria sarebbe un esercizio pieno di insidie. La negazione, però, regnò sovrana.

Il punto da mettere a fuoco è che, all’epoca, la dinamica europea era guidata dalla spropositata percezione francese del proprio posto nel mondo, e in Europa in particolare.

La Germania e l’Italia erano Stati sconfitti – e disonorati. La Francia era lo Stato vincitore e, sotto Charles De Gaulle, nazionalista in modo accanito. Era pronta a partecipare al processo di “integrazione” solo alle sue condizioni: voleva controllare il processo, creare corpi intergovernativi europei che avrebbe dominato, e ottenere sussidi (specialmente) dalla Germania per favorire il proprio sviluppo economico.

La storia ci dice che questa spropositata percezione di sé fu delirante e che la Francia fu sempre più asservita da successive variazioni dei Trattati e da accordi di tasso di cambio fisso a sostegno della PAC per il potere economico della Germania e la sua patologica ossessione dell’inflazione.

Tratto nel dettaglio le conseguenze di questa sottomissione nel mio ultimo libro: Eurozone Dystopia: Groupthink and Denial on a Grand Scale (pubblicato nel maggio 2015).

 

Originale pubblicato il 14 marzo 2017

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino


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