L'Editoriale

Oltre al lavoro hanno ucciso la cultura del lavoro

Passano gli anni, la situazione peggiora e quest’anno guardo circospetta la Festa del Lavoro. Festeggiare che cosa? Il lavoro che è rimasto oppure quello che non c’è più? Per com’era o per quello che è diventato?

È poco, è scarso, oggi lo hai ma domani non sai. Ma oltre essere poco è anche cambiato. L’economia della scarsità ha mantenuto in alcuni casi il lavoro ma ha annientato la cultura del lavoro.

Gli strateghi dell’austerità conoscono bene il meccanismo: la crisi mette in pericolo i posti di lavoro e i Governi invece di garantire l’occupazione (aumentando il deficit statale) mettono in atto la politica dei tagli alla spesa pubblica. La disoccupazione aumenta e i Governi a quel punto possono andare spediti sulle riforme del lavoro. Chi è fuori non rientra più nel mercato del lavoro e chi ci resta vive sotto assedio del

ringrazia ogni giorno per una fortuna che non ti è dovuta e accetta con giubilo i crescenti sacrifici perché hai ancora tanto da farti perdonare.

L’economia della scarsità ha generato la cultura della scarsità, che uccide la cultura del lavoro.

Nella cultura della scarsità più un bene è percepito come scarso più aumenterà il desiderio di averlo e lo sforzo per raggiungerlo. Aver fatto del lavoro una risorsa scarsa ha reso le persone disposte a tutto per averlo o mantenerlo. Aver reso le competenze una cosa abbondante, invece, ha fatto in modo che queste perdessero di valore. E così, avremmo necessità di tanti e nuovi posti di lavoro retribuiti per ingegneri, infermieri, informatici… e anche se fossero tutti occupati, se fosse possibile ne servirebbero altri ancora per rendere il mondo in cui viviamo un posto migliore. Ma non è possibile. Ci sono gli ingegneri, gli infermieri, gli informatici, il loro lavoro servirebbe alla collettività, ma non possono lavorare, perché la cultura della scarsità impone che “i soldi” siano scarsi, facendo diventare scarsi anche i posti di lavoro.

E così mentre nel passato avere un mestiere era un valore e aveva valore, oggi quando va bene è considerata una cosa che si può trovare a buon mercato se no è addirittura una rigidità un ostacolo. Nei nuovi apprendisti del Jobs Act non è più necessario neanche fare formazione, non è più necessario imparare il mestiere, è sufficiente eseguirlo.

Il mestiere era ciò che legava la persona al lavoro e il “contare qualcosa” alimentava quello che viene chiamato nella psicologia del lavoro il “sentimento del potere”. La cultura della scarsità annienta la cultura del lavoro, annienta i sentimenti dei lavoratori, annienta i lavoratori.

Non so se va festeggiata oggi la festa del lavoro, ma bisognerebbe renderle onore liberandoci dalle superstizioni economiche dell’austerità. Non c’è motivo di rendere scarso il lavoro quando lo Stato è in grado con la spesa a deficit di creare tutta l’occupazione utile che serve. Non c’è motivo di tenere disoccupate le persone che invece hanno competenze, capacità e voglia di lavorare.


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