Approfondimento

Mosler/Pilkington: un piano credibile per l’uscita dall’Eurozona

Di Warren Mosler, investment manager e creatore del mortgage swap e dell’attuale contratto Eurofutures swap e Philip Pilkington, un giornalista e scrittore che vive a Dublino, Irlanda.

(la Redazione)


L’Eurozona ha visto certamente giorni migliori. Il caos – per parafrasare un dubbio politico irlandese – sta solo diventando ancora più caotico.

Tutto ciò è evitabile, naturalmente, e se le autorità europee decidessero di agire, e far garantire alla BCE il debito sovrano della periferia [dell’Eurozona], l’intera crisi giungerebbe al termine. Ma le autorità europee, per una molteplicità di ragioni, non sembrano volerlo fare. E anche se lo volessero, ci sarebbe la questione dell’austerità: continuerebbero a forzare ridicoli programmi di austerità giù nelle gole dei Governi della periferia [dell’Eurozona]? E in questo caso, quanto a lungo? Documenti trapelati dall’interno della Troika mostrano che i programmi di austerità sono un abietto fallimento, e ciò nonostante i funzionari europei continuano a considerarli come l’unica alternativa sulla piazza. Pertanto, a questo punto possiamo solamente concludere che, dato che i funzionari europei sanno che i programmi di austerità non funzionano, li stanno perseguendo più per ragioni politiche che economiche.

Pertanto noi sosteniamo fermamente che i Governi della periferia dovrebbero avere una strategia di uscita [dall’Eurozona] credibile a portata di mano, ed è a ciò che ci dedichiamo ora.

Una tale strategia non dovrebbe essere molto difficile da implementare, e consisterebbe in due principi chiave:

  1. Subito dopo l’annuncio che il Paese sta lasciando l’Eurozona, il Governo di quel Paese dovrebbe annunciare che esso effettuerà i pagamenti – gli impiegati statali ecc. – esclusivamente nella nuova valuta. Pertanto il Governo cesserebbe di utilizzare l’euro come mezzo di pagamento.
  2. Il Governo dovrebbe annunciare anche che accetterà pagamenti di tributi unicamente in questa nuova valuta. Ciò assicurerebbe che la valuta abbia valore e, almeno per un certo periodo, sia scarsa.

E questo è quanto. Il Governo spende per approvvigionarsi e in tal modo inietta la nuova valuta nell’economia, mentre la nuova politica di tassazione assicura che sia ricercata dagli agenti economici e, perciò, abbia valore. La spesa pubblica è quindi il rubinetto attraverso cui il Governo inietta la nuova valuta nell’economia, e la tassazione è lo scarico che assicura che i cittadini vadano in cerca della nuova valuta.

Qui l’idea è di tenere un approccio di “non intervento”. Se il Governo di un certo Paese dovesse annunciare un’uscita dall’Eurozona, e quindi bloccasse i conti bancari e forzasse la loro conversione, ci sarebbe il caos. I cittadini del Paese correrebbero alle banche e tenterebbero disperatamente di ritirare quante più banconote di euro possibili, in previsione di un rivalutazione rispetto alla nuova valuta.

Secondo il suddetto piano, comunque, i conti bancari dei cittadini sarebbero lasciati stare. Starebbe a loro convertire i propri euro nella nuova valuta, ad un tasso di cambio fluttuante determinato dal mercato. Essi dovrebbero, naturalmente, andare in cerca della valuta ogni qualvolta debbano pagare le tasse, e pertanto venderebbero beni e servizi denominati nella nuova valuta. Questo “monetizza” l’economia nella nuova valuta, aiutando allo stesso tempo a stabilirne il valore di mercato.

Un punto assolutamente chiave è che la nuova valuta dovrebbe avere un tasso di cambio fluttuante. Alcuni commentatori hanno suggerito che, subito dopo l’uscita, il Paese in questione dovrebbe agganciare la nuova valuta all’euro per assicurare che mantenga il proprio valore. In questo scenario la nuova valuta dovrebbe mantenere il proprio valore vis-à-vis con l’euro. Pertanto i prezzi delle importazioni non aumenterebbero a meno che il Governo scegliesse coscientemente di svalutare la valuta.

Ciò potrebbe suonare bene sulla carta, ma noi sosteniamo fermamente che, se fosse mai applicato alla realtà, significherebbe cadere nientemeno che “dalla padella alla brace”. Per poter agganciare la nuova valuta all’euro, la Banca Centrale dovrebbe detenere quantità adeguate di riserve di euro. Agganciando la propria nuova valuta all’euro essa starebbe essenzialmente promettendo di scambiare su richiesta euro in cambio della nuova valuta. E per farlo dovrebbe, pertanto ottenere in qualche modo e mantenere adeguate riserve di euro. In tal caso noi assumiamo che ciò significherebbe accumulare un debito denominato in euro con il FMI [1], o qualche accordo simile.

Un simile approccio può causare seri problemi. I default in Argentina e Russia – rispettivamente, nel 2001 e nel 1998– ed i disastrosi stati delle economie che hanno portato ad essi, erano dovuti al sistema di cambi fissi che questi Paesi scelsero di perseguire. Ciò che avviene sotto un sistema del genere è che i Governi scoprono rapidamente che le fluttuazioni nelle condizioni di credito delle loro economie domestiche portano a una domanda fluttuante per le proprie valute, e, poiché non detengono sufficienti riserve della valuta a cui si sono agganciati, i loro tassi d’interesse vanno alle stelle e il Governo perde la propria capacità di spendere quanto ritiene necessario. Il risultato finale è che tentano di prendere in prestito dal FMI la valuta estera di cui hanno bisogno. Questo generalmente fornisce solo un sollievo temporaneo, ed obbliga il Paese in questione ad intraprendere misure di austerità che causano un rapido aumento del tasso di disoccupazione, un aumento del deficit per via di un aumento delle indennità di disoccupazione, ed un indebolimento delle entrate fiscali poiché l’economia rallenta. Mentre le dinamiche di deflazione dovute al debito si auto-rinforzano, il Paese esaurisce le proprie riserve di valuta estera e non può quindi adempiere alla propria promessa di conversione, il che è tipicamente seguito da un deprezzamento della valuta del 70% circa. E siamo quindi di nuovo daccapo, ma con un’economia in stato ben peggiore e, potenzialmente, sangue nelle strade.

Come possiamo vedere, agganciare una valuta estera metterebbe i Paesi della periferia [dell’Eurozona] esattamente nella stessa posizione in cui si trovano ora; essi rimarrebbero dipendenti dal detenere riserve di una valuta che non emettono. Molto meglio che il Paese uscente semplicemente consenta che la propria valuta fluttui vis-à-vis con l’euro, e lasci che il mercato fissi il tasso di cambio. In questo modo il Paese avrà piena sovranità sulla propria valuta, e senza la minaccia di un default.

Qualunque debito il Governo abbia contratto in euro verrebbe ignorato o, se assolutamente necessario, rinegoziato nella nuova valuta. Ciò sarebbe considerato un default ma, poiché l’uscita stessa è sostanzialmente un default, non vediamo il motivo per cui ciò dovrebbe essere considerato problematico. Allo stesso tempo i contratti esistenti per beni e servizi sottoscritti dal Governo in questione sarebbero ridenominati nella nuova valuta.

Comprendiamo che una mossa simile porterebbe alla bancarotta di molti [agenti economici] all’interno del Paese. Chiunque abbia un debito privato estero denominato in euro dovrebbe tentare di onorare questo debito o andare in bancarotta. Anche se è spiacevole, ciò non interferirà con i livelli globali di occupazione, produzione e consumi domestici reali. In tali circostanze al debitore sarebbe ancora consentito mantenere i propri saldi in euro e non gli sarebbe impedito di provare ad accumulare la valuta, così da lasciargli o lasciarle l’opportunità di onorare il proprio debito.

A qualunque banca che soffrisse perdite sui prestiti concessi in euro dovrebbe probabilmente essere consentito di fallire e vendere i propri asset. Ma in Europa a quel punto un processo del genere sarebbe storia vecchia. Con la possibilità di emettere la propria valuta, il Governo uscente potrebbe facilitare le ricapitalizzazioni delle stesse banche senza la necessità di valute estere o di doversi indebitare con l’estero.

È anche importante che il Governo uscente interrompa immediatamente i propri programmi di austerità. Siccome a quel punto non dipenderebbe più dalla Troika per il proprio finanziamento, esso dovrebbe usare la propria politica fiscale appena riconquistata per consentire aggiustamenti fiscali anticiclici, con l’obiettivo di ridurre la disoccupazione e promuovere la crescita economica. L’Argentina dopo il default del 2001 costituirebbe un modello in questo senso, e noi vorremmo incoraggiare i policy-maker a considerare il piano di occupazione diretta e lavoro garantito (Jefes) [2], un approccio all’impiego di tipo buffer-stock [3] che venne lì intrapreso e che si provò essere di gran lunga superiore alle politiche contingenti, che usano un buffer-stock di disoccupazione come àncora dei prezzi.

Un eventuale indebolimento sostanziale della nuova valuta potrebbe temporaneamente essere doloroso per gli importatori e per coloro che dipendono dai beni importati. Comunque, una valuta indebolita assicurerà anche una forte spinta all’industria nazionale. Quando le esportazioni aumenteranno vigorosamente nella nuova, indebolita valuta, i partner commerciali cominceranno a domandarla per potere acquistare prodotti. Ciò porterà ad un aumento del valore della valuta, e farà crollare le pressioni di costi addizionali sulle importazioni, (pressioni) dovute all’indebolimento della valuta.

Vorremmo anche incoraggiare qualunque Paese che dovesse affrontare l’uscita [dall’Eurozona] a stampare in segreto una pratica scorta della nuova valuta, e a tenerla a portata di mano per ogni evenienza. Data la situazione in Europa, ciò che ora è un’uscita potrebbe diventare una decisione dettata dal nervosismo, ed in circostanze simili è meglio essere preparati che essere obbligati a prendere decisioni ad hoc che potrebbero facilmente portare al disastro.

 

Note del Traduttore

1.^ FMI: Fondo Monetario Internazionale.

2.^ Plan Jefes: il programma di lavoro garantito attuato in Argentina all’indomani del default.

3.^ Cioè che utilizza scorte-cuscinetto di capitale o merce (in questo caso forza lavoro) per stabilizzare le fluttuazioni di un’attività.

 

Originale pubblicato il 22 novembre 2011

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo


Crediamo nella libera circolazione del sapere. Ogni nostro progetto è fruibile gratuitamente e realizzato in forma volontaria dagli attivisti di Rete MMT Italia. Se ti è piaciuto, premiaci con una libera donazione.

Commenta