La Teoria

MMP Blog #32: La Finanza Funzionale nella versione di Milton Friedman: una proposta per l’integrazione di politica fiscale e politica monetaria (2)

MMP Blog #32: La Finanza Funzionale nella versione di Milton Friedman: una proposta per l’integrazione di politica fiscale e politica monetaria (2)

Il problema è che gli stabilizzatori automatici non sono forti abbastanza da controbilanciare le fluttuazioni della domanda privata. Tra poco esamineremo perché questo avviene.

Si noti che Friedman avrebbe voluto la realizzazione di deficit da parte dello Stato e, pertanto, l’emissione netta di Moneta, fino al livello in cui l’economia avesse funzionato al di sotto del livello di piena occupazione. Ancora, questa linea di pensiero è piuttosto affine all’approccio della finanza funzionale di Lerner e, come discusso in precedenza, nel primo dopoguerra era opinione comune tra gli economisti. Ma quasi nessun economista o politico degno di rispetto, oggi sarebbe d’accordo, nella convinzione che essa sarebbe inflazionistica e/o farebbe saltare il bilancio. Tale è lo stato pietoso in cui versa oggi l’educazione economica. Come siamo arrivati a questo punto? Nel blog della settimana scorsa, Samuelson ha spiegato che la convinzione per cui lo Stato è costretto a realizzare un pareggiare di bilancio nell’arco di un certo periodo di tempo è una “religione”, una “superstizione” necessaria a spaventare la popolazione tanto da farla comportare nella maniera desiderata. In caso contrario, gli elettori potrebbero chiedere ai loro rappresentanti eletti di spendere troppo, generando inflazione. Pertanto, la visione per cui il pareggio di bilancio è desiderabile non ha nulla a che vedere con la “sostenibilità”, e le analogie tra il bilancio di una famiglia e quello di uno Stato non sono corrette. Anzi, è necessario limitare la spesa pubblica attraverso il “mito” proprio perché [lo Stato] non è davvero soggetto ad alcun vincolo di bilancio.

Una Linea di Bilancio per la Stabilità Economica. Nella proposta di Friedman, il livello d’intervento dello Stato sarebbe determinato da quello che la popolazione desidera sia offerto dallo Stato. I livelli di tassazione verrebbero quindi fissati in modo da ottenere il pareggio di bilancio solo in condizione di piena occupazione. Ovviamente, questo è coerente con l’approccio di Lerner — se esiste disoccupazione, allora lo Stato ha bisogno di spendere di più, senza preoccuparsi del fatto che possa generare un deficit di bilancio. Essenzialmente, la proposta di Friedman consiste nell’avere un bilancio il cui saldo si muova in maniera anticiclica in modo che funzioni da stabilizzatore automatico. E, in effetti, è in questo modo che operano i bilanci pubblici moderni: i deficit aumentano durante le recessioni e si riducono nelle fasi di crescita. In caso di crescita sostenuta, i bilanci raggiungono persino il surplus (cosa che avvenne negli USA durante l’amministrazione del Presidente Clinton). Eppure, solitamente osserviamo che le oscillazioni [di questi saldi] verso il deficit non sono ampie in misura sufficiente a mantenere l’economia in stato di piena occupazione. Le raccomandazioni di Friedman e di Lerner di gestire il bilancio in modo tale da mantenere condizioni di piena occupazione non vengono seguite. Perché no? Perché gli stabilizzatori automatici non sono abbastanza consistenti.

Per avere oscillazioni anticicliche [del saldo del bilancio pubblico che siano] sufficienti a riportare l’economia in condizioni di piena occupazione sono necessarie due condizioni. Primo, la spesa pubblica e il gettito fiscale devono essere fortemente legati al ciclo [economico contingente] — è necessario che la spesa sia anticiclica (che aumenti durante una recessione) e le tasse procicliche (che diminuiscano in una recessione). Un modo per rendere la spesa automaticamente anticiclica è quello di realizzare una generosa rete di sicurezza sociale, così che la spesa per trasferimenti (per indennità di disoccupazione ed assistenza sociale) aumenti in maniera netta durante una recessione. In alternativa, o in aggiunta, anche il gettito fiscale deve essere legato alle prestazioni economiche — tasse progressive sul reddito o sulle vendite, [tasse] che si muovono in modo anticiclico.

Secondo, è necessario che lo Stato abbia un peso relativamente elevato. Hyman Minsky (1986) era solito affermare che è necessario che lo Stato abbia all’incirca lo stesso peso della spesa complessiva per investimenti — o, almeno, le oscillazioni del saldo del bilancio pubblico devono essere ampie tanto quanto le oscillazioni degli investimenti, e muoversi in direzione opposta (ciò si fonda sulla convinzione che vede nell’investimento la componente più volatile del Pil e include l’investimento immobiliare residenziale, che è un motore importante del ciclo d’affari negli USA. L’idea è che la spesa pubblica debba oscillare abbastanza, ed in direzione opposta rispetto all’investimento, in modo da mantenere il reddito e la produzione nazionali relativamente stabili; il che, a sua volta, manterrà il livello dei consumi relativamente stabili). Secondo Minsky, negli anni ’30 lo Stato aveva un peso assolutamente troppo ridotto per poter stabilizzare l’economia — persino al culmine del New Deal, la spesa del Governo federale pesava solo per il 10% sul Pil. Oggi, in tutti i principali Paesi dell’OCSE [1] lo Stato ha un peso sufficientemente elevato, anche se ciò non avviene probabilmente in alcuni Paesi in via di sviluppo. In base alle realtà attuali, sembra che, rispetto al Pil, la spesa pubblica nazionale pesi tra un minimo del 20% degli USA ed un massimo del 50% in Francia. I Paesi che si posizionano verso l’estremo inferiore dell’intervallo hanno bisogno di inserire nel bilancio [misure di stabilizzazione che introducano] una fluttuazione automatica più ampia rispetto a quelli in cui la spesa pubblica ha un’incidenza maggiore.

Guardando al decennio degli anni ’60 del secolo scorso negli USA, è possibile osservarne un’approssimativa coerenza con la proposta di Friedman e con l’approccio della finanza funzionale di Lerner. La spesa del Governo federale si assestava mediamente attorno al 18-20% circa del Pil, e i livelli di deficit erano in media di 4 o 5 miliardi di Dollari all’anno, ben al di sotto dell’1% del Pil, eccezion fatta per il 1968, anno in cui il deficit aumentò temporaneamente a 25 miliardi di Dollari. Potremmo cercare cavilli, chiedendoci se — negli anni ’60 del 1900 — gli USA fossero o meno in situazione di piena occupazione, ma certamente vi erano più vicini in quel decennio di quanto non lo sarebbero stati all’inizio del decennio successivo. Dai primi anni ’70, e sino al boom degli anni ’90 durante la presidenza di Bill Clinton, il [deficit di] bilancio non era abbastanza ampio se confrontato con le raccomandazioni di Friedman e Lerner. Come facciamo a saperlo? Perché la disoccupazione era cronicamente troppo elevata — essa non scese mai ai livelli degli anni ’60, persino nel corso delle fasi di crescita.

Notare che questo non avvenne perché la spesa pubblica era diminuita troppo, o perché le tasse erano aumentate. Per la verità, il deficit tendeva ad essere molto più elevato dopo i primi anni ’70 (il periodo di elevata disoccupazione) rispetto a quanto lo era negli anni ’60 (il periodo di bassa disoccupazione).

Cosa andò storto? In breve, il problema potrebbe essere attribuito all’evoluzione della posizione degli USA a livello internazionale, che portò ad un cronico deficit delle partite correnti. Gli USA uscirono dalla seconda Guerra Mondiale in una posizione dominante — non solo il Dollaro era molto richiesto, ma lo erano anche le esportazioni USA, necessarie all’Europa ed al Giappone, devastati dalla guerra. Gli USA realizzarono un surplus delle partite correnti, e prestarono Dollari al resto del mondo perché quest’ultimo potesse acquistare la loro produzione. Ciò si aggiunse alla domanda [interna agli] USA e — [come sappiamo] dalle nostre identità contabili — mantenne i nostri deficit di bilancio ridotti, consentendo al nostro settore privato di realizzare surplus (risparmiare).

Ricordiamo che il sistema monetario internazionale (quello di Bretton Woods) si basava su uno standard oro-Dollaro, [standard] in cui i tassi di cambio erano fissi rispetto al Dollaro ed il Dollaro convertibile in oro [2]. Nei primi anni ’70 del secolo scorso, gli USA stavano realizzando un deficit commerciale e coloro che detenevano Dollari all’estero stavano scambiando i Dollari in eccesso con l’oro. Per farla breve, gli USA abbandonarono l’oro, il sistema di Bretton Woods collassò, e [il valore del] la maggior parte [delle valute] dei Paesi sviluppati cominciò a fluttuare. Il valore del Dollaro crollò (favorendo l’insorgere di pressioni inflattive negli USA, visto che le importazioni e il petrolio, in particolar modo, divennero più costosi) e gli USA si trovarono in difficoltà nel competere sui mercati internazionali (Giappone ed Europa si erano ampiamente ripresi e stavano producendo per i propri mercati — e persino per i consumatori statunitensi). Il deficit delle partite correnti divenne negativo — in modo più o meno permanente — durante l’amministrazione del Presidente Reagan. Come sappiamo dalle nostre identità macroeconomiche, quel deficit avrebbe dovuto essere compensato da un crescente deficit di bilancio — che doveva essere ampio in misura sufficiente a compensare sia le partite correnti che il surplus del settore privato nazionale USA (risparmio di famiglie ed imprese). Alla fine degli anni ’80, il Congresso e il nuovo Presidente (George Bush) concordarono sul tentativo di ridurre la spesa a deficit. Pertanto, un livello di deficit di bilancio già troppo basso (la domanda non era sufficiente ad eliminare la disoccupazione, considerati il deficit delle partite correnti ed il desiderio di realizzare surplus da parte del settore privato nazionale,) era ulteriormente limitato dall’Emendamento Gramm-Rudman, che intendeva andare in direzione di un pareggio di bilancio.

Per la maggior parte di questo periodo, l’economia soffrì a causa della crescita debole e della disoccupazione relativamente elevata. Poi, improvvisamente, la crescita economica accelerò durante l’amministrazione Clinton; in effetti crebbe così rapidamente da produrre un surplus di bilancio (dato il forte e rapido incremento del gettito fiscale) che durò per quasi tre anni (il primo surplus prolungato dal 1929!). All’epoca, a dire il vero, il Presidente Clinton predisse che il surplus di bilancio sarebbe continuato per almeno altri 15 anni, e che tutto il debito pendente del Governo federale sarebbe stato eliminato (per la prima volta dal 1837).

Si noti che ciò non avvenne attraverso un’inversione del deficit delle partite correnti — che in realtà aumentò. Come fecero gli USA a realizzare un deficit delle partite correnti ed un surplus del bilancio pubblico? Solo attraverso un prolungato deficit del settore privato. In effetti, dal 1996 al 2007 il settore privato USA realizzò un deficit di bilancio ogni anno, eccezion fatta per la recessione dei primi anni 2000. A volte, il deficit del settore privato nazionale raggiunse il 6% del Pil (il che significa che, per ogni Dollaro di reddito nazionale USA, il settore privato ne spendeva 1,06). Con un deficit di “flusso” tanto elevato, lo stock di debito del settore privato aumentò rapidamente — sia in termini nominali che in rapporto al Pil. Nel 2007, il debito statunitense complessivo raggiunse un livello pari a 5 volte quello del Pil (mentre nel 1929, sull’orlo della Grande Depressione, era pari al triplo del Pil). Questo enorme debito comportò un grande fardello — pari alla porzione del reddito che doveva essere impiegata per onorare il debito. Quando l’economia collassò, nel 2007, tornò finalmente un surplus del settore privato (l’inversione da una posizione di deficit ad una di surplus del settore privato ammontò all’8% del Pil — un’inversione enorme, che ritirò dall’economia all’incirca 1000 miliardi di Dollari di spesa) — e il deficit del bilancio pubblico crebbe rapidamente fino al 10% del Pil. Nonostante il settore privato avesse tagliato la propria spesa, fu costretto a dichiarare default sui debiti accumulati sin dal periodo [della presidenza] Clinton. Un’ondata di bancarotte e pignoramenti residenziali che diresse l’economia verso una profonda recessione ed una crisi finanziaria che si sono diffuse nel mondo.

La settimana prossima: una linea di bilancio per promuovere la crescita.

 

Note del Traduttore

1.^ OCSE: Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico; fonte: Wikipedia.org

2.^ cfr. Gold Exchange Standard; fonte: Treccani.it

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Originale pubblicato il 15 gennaio 2012

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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