La Teoria

MMP Blog #26: Valuta sovrana e politica di Governo in un’economia aperta

MMP Blog #26: Valuta sovrana e politiche di Governo in un'economia aperta

La politica di Governo e l’economia aperta. Un deficit pubblico può contribuire ad un deficit delle partite correnti se il deficit di bilancio accresce la domanda aggregata, che risulta [a sua volta] in un aumento delle importazioni. Lo Stato può persino contribuire direttamente ad un deficit delle partite correnti, acquistando produzione estera. Un deficit delle partite correnti implica che il resto del mondo sta accumulando crediti nei confronti del settore privato nazionale e/o dello Stato. Questo viene registrato come un “flusso di capitali in ingresso”. Un deficit delle partite correnti persistente potrebbe generare una pressione sul tasso di cambio.

Nonostante l’assunto comune sia che il deficit delle partite correnti porti, più o meno direttamente, ad un deprezzamento della valuta, l’evidenza di questo effetto non è lampante. Eppure questo è il timore comune — quindi supponiamo che tale pressione emerga effettivamente.

Gli effetti di questa pressione dipendono dal regime valutario. Secondo il ben noto trilemma, lo Stato può scegliere solo due fra le seguenti tre [politiche]: una politica nazionale indipendente (solitamente descritta come un vincolo sul tasso d’interesse), una di tasso di cambio fisso e una di libera circolazione dei capitali. Un Paese che permette al suo tasso di cambio di fluttuare può godere dell’indipendenza della politica nazionale e della libera circolazione dei capitali. Un Paese che vincola il proprio tasso di cambio è costretto a scegliere tra la regolamentazione dei flussi di capitali e l’abbandono dell’indipendenza della sua politica nazionale. Se un Paese vuole poter usare la politica nazionale per ottenere la piena occupazione (attraverso, ad esempio, la politica del tasso d’interesse e del deficit di bilancio), e se ciò comporta un deficit delle partite correnti, allora esso deve controllare i flussi di capitali oppure rinunciare al suo vincolo sul tasso di cambio.

Consentire la fluttuazione del tasso di cambio offre, pertanto, un più ampio margine di manovra politica. I controlli sui capitali offrono un modo alternativo di proteggere il tasso di cambio, perseguendo al contempo l’indipendenza della politica nazionale.

Ovviamente, simili politiche devono essere affidate al processo decisionale politico — ma i policymaker dovrebbero riconoscere identità contabili e trilemmi. La maggior parte dei Paesi non sarà in grado di perseguire simultaneamente la piena occupazione nazionale, un tasso di cambio fisso e la libera circolazione dei capitali. L’eccezione è un Paese che mantiene un surplus delle partite correnti prolungato — come alcuni Paesi asiatici. Poiché hanno un flusso stabile di riserve di valuta estera in entrata, essi sono in grado di mantenere un vincolo sul tasso di cambio pur perseguendo l’indipendenza della politica nazionale e (se lo desiderano) la libera circolazione dei capitali.

Nella pratica, molti dei Paesi in surplus commerciale non hanno reso liberi i propri mercati di capitali. Attraverso il controllo sui mercati di capitali e la realizzazione di surplus commerciali, essi sono in grado di accumulare un’enorme “cuscinetto” di riserve di valuta internazionale con cui proteggere il proprio tasso di cambio fisso. In parte, questa fu una reazione alla crisi dei tassi di cambio sofferta dalle “Tigri Asiatiche” — quando i mercati di cambio di valuta estera persero fiducia nel fatto che esse avrebbero potuto mantenere i propri vincoli, perché le loro riserve di valuta estera erano troppo esigue. La lezione, appresa, fu che sono necessarie massicce quantità di riserve per respingere gli speculatori.

I tassi fluttuanti eliminano gli “squilibri”? Nell’economia globale, ogni surplus commerciale dev’essere compensato da un deficit commerciale. La controparte dell’accumulo di riserve di valuta estera è l’accumulo di indebitamento da parte dei Paesi in deficit delle partite correnti. Ciò può creare quella che è nota come una spinta deflazionistica per l’economia globale. I Paesi che desiderano mantenere un surplus commerciale terranno sotto controllo la domanda interna al fine di prevenire un aumento di salari e prezzi, cosa che potrebbe rendere i loro prodotti meno competitivi sui mercati internazionali.

Contemporaneamente, i Paesi con deficit commerciali potrebbero tagliare la domanda interna per comprimere salari e prezzi, al fine di ridurre le importazioni ed aumentare le esportazioni. Se importatori ed esportatori tentano di mantenere basso il livello della domanda, il risultato è una domanda globale insufficiente ad operare al livello di piena occupazione (di forza lavoro, impianti e strumentazione). Peggio ancora, una simile spinta competitiva può provocare guerre commerciali — Paesi che promuovono le proprie esportazioni e tentano di bloccare le importazioni. Questo è il lato negativo del commercio internazionale, che peggiora nella misura in cui i Paesi cercano di vincolare i tassi di cambio.

Alcuni economisti (in particolare Milton Friedman) negli anni 1960 hanno sostenuto che i tassi di cambio fluttuanti eliminerebbero gli “squilibri” — il tasso di cambio di ciascun Paese si modificherebbe in modo da raggiungere un equilibrio delle partite correnti [a livello internazionale]. Quando, nei primi anni 1970, il sistema di tassi di cambio fissi di Bretton Woods collassò, gran parte del mondo sviluppato si spostò in direzione di un regime di tassi di cambio fluttuanti — e, nonostante ciò, le partite correnti non si mossero verso l’equilibrio (per la verità, gli “squilibri” aumentarono).

Il motivo è che quegli economisti che avevano creduto che i tassi di cambio variano per eliminare deficit e surplus delle partite correnti non avevano tenuto in considerazione che uno “squilibrio” non significa necessariamente essere in una situazione di non equilibrio. Come discusso in precedenza, un Paese può realizzare un deficit delle partite correnti fintanto che il resto del mondo desidera accumulare i suoi ITD. Il surplus in conto capitale del Paese “bilancia” il suo deficit delle partite correnti.

Pertanto è fuorviante definire “squilibrio” un deficit delle partite correnti — per definizione, è “bilanciato” dai flussi in conto capitale. Come discusso in precedenza, “bisogna essere in due per ballare un tango”: un Paese non può realizzare un deficit delle partite correnti a meno che non ci sia qualcun altro che desidera possedere i suoi ITD. Possiamo persino considerare il deficit delle partite correnti come derivante dal desiderio del resto del mondo di accumulare risparmi netti sotto forma di crediti nei confronti del Paese.

Regimi valutari e margine di manovra politica: conclusione.

Rivediamo rapidamente la connessione tra la scelta del regime di tasso di cambio ed il grado di indipendenza concesso alla politica nazionale, dal massimo al minimo:

  • Tasso fluttuante, valuta sovrana e massima libertà politica; lo Stato si può “permettere” [di acquistare] qualunque cosa sia in vendita nella sua valuta. Non esiste alcun rischio di default nella sua valuta. Inflazione e deprezzamento della valuta sono esiti possibili se lo Stato spende troppo.
  • Tasso fluttuante gestito, valuta sovrana e minore libertà politica; lo Stato si può “permettere” [di acquistare] qualunque cosa sia in vendita nella sua valuta, ma deve fare attenzione agli effetti sul suo tasso di cambio poiché la politica potrebbe generare una pressione tale da spingere il valore della valuta fuori dall’intervallo desiderato per il tasso di cambio.
  • Tasso di cambio vincolato, valuta sovrana e libertà politica minima; lo Stato si può “permettere” [di acquistare] qualunque cosa sia in vendita nella sua valuta, ma deve mantenere una quantità di riserve di valuta estera [che sia] sufficiente a mantenere il suo vincolo. A seconda delle circostanze, ciò può ridurre fortemente la libertà politica interna. La perdita di riserve può portare ad un default totale all’impegno di effettuare conversioni al tasso di cambio fissato.

I dettagli delle operazioni dello Stato discusse in questa parte del libro si applicano a tutti e tre questi regimi: lo Stato spende accreditando conti correnti, tassa addebitandoli, e vende Titoli per offrire un’alternativa redditizia alle riserve. Tuttavia, la possibilità di usare queste operazioni per raggiungere obiettivi di politica interna cambia in base al regime di cambio [adottato].

Con una valuta vincolata, lo Stato può spendere di più fintanto che qualcuno desidera vendergli qualcosa in cambio di valuta nazionale, ma potrebbe non essere disposto a farlo per il timore degli effetti sul tasso di cambio (per esempio, a causa della perdita di riserve di valuta estera attraverso le importazioni).

Certamente, persino un Paese che adotta un tasso [di cambio] fluttuante potrebbe limitare la politica nazionale al fine di scongiurare pressioni sulla valuta. Ma lo Stato che opera con un tasso di cambio vincolato può in effetti essere costretto all’inadempienza a tale impegno, mentre lo Stato con un tasso di cambio fluttuante o un tasso fluttuante o con una fluttuazione gestita non può essere costretto al default.

Le limitazioni sono dunque più stringenti in un regime vincolato, perché qualunque cosa inneschi preoccupazioni sulla capacità di convertire al tasso vincolato genera automaticamente paura di default (non c’è differenza [tra le due ipotesi]). Il timore può portare a declassamenti creditizi, all’aumento dei tassi d’interesse e all’aumento del costo per onorare il debito. Nel caso di una valuta convertibile (in cui lo Stato promette di convertire ad un tasso di cambio fisso), tutto il debito pubblico detenuto all’estero è realmente un diritto sulle riserve di valuta estera. Se la preoccupazione sulla capacità di convertire aumenta, allora solo un livello di riserve pari al 100% del debito garantisce l’assenza di un rischio di default (i crediti nazionali nei confronti dello Stato potrebbero non avere lo stesso effetto, visto che lo Stato ha un qualche controllo sui residenti nazionali — esso potrebbe, ad esempio, aumentare le tasse ed insistere sul pagamento esclusivo in valuta nazionale).

La settimana prossima: cosa succede se un Paese adotta una valuta estera? (Suggerimento: guardate i PIIGS!)

 

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Originale pubblicato il 27 novembre 2011

Traduzione a cura di Andrea Sorrentino, Supervisione di Maria Consiglia Di Fonzo

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