Approfondimento

La MMT è filosofia politica, non economia

La MMT è filosofia politica, non economia

Nel mondo accademico non sono solo gli economisti ad interessarsi e ad occuparsi di Modern Money Theory. È il caso del Professor Alexander Douglas, docente di Filosofia presso l’Heythrop College di Londra. Non è un economista, come precisa lui stesso, ma crede fermamente che la MMT chiarisca alcuni concetti di macroeconomia che nessun altro economista prima d’ora è mai riuscito a chiarire.

Di recente, ha pubblicato il libro “La filosofia del debito”, che propone di sfatare i vecchi miti popolari sulla natura del debito e del denaro.

Vi proponiamo un articolo di Douglas pubblicato sul suo blog Origin of Specious lo scorso 20 marzo.


Quello che mi lascia perplesso circa la risposta alla MMT di Simon Wren-Lewis [Professore di politica economica presso la Blavatnik School of Government, Oxford University, NdT] è la sua affermazione di non trovare niente di nuovo o di sorprendente in questa teoria. Credo che la sua affermazione si possa comprendere alla luce del fatto che la MMT non è una teoria economica. È un po’ di economia politica o, più in generale, un po’ di filosofia politica.

Quando ho letto Le sette innocenti frodi capitali di Warren Mosler, l’ho trovato piacevolmente semplice e non teorico, ma anche molto radicale. Trovo difficile immaginare Wren-Lewis che legge il libro e che non vi trova nulla di sorprendente o di interessante. Forse non l’ha letto. Ma se vi andasse a cercare una prova che l’equazione di bilancio consolidato non è corretta, rimarrebbe senza dubbio deluso, e solo perché cercherebbe la cosa sbagliata. Sarebbe come leggere l’Ulisse di Joyce e dire:

Non vedo come questo libro sia innovativo; non riesce a confutare le leggi di Newton.

L’affermazione più radicale fatta da Mosler è riassunta nella citazione con cui Paul Davidson apre il suo articolo 1997-8 sulla piena occupazione [Full employment and price stability, NdT]. L’affermazione è che lo Stato crea la disoccupazione: questa è l’unica motivo per cui essa esiste. Non trovo questa affermazione nei libri di testo di macroeconomia che ho letto, e se si tratta di qualcosa che Wren-Lewis conosceva fin dall’inizio, non vedo come abbia potuto trovarlo così poco importante da non preoccuparsi di menzionarlo.

Immaginate una società in cui lo Stato non esiste. Le persone usano il loro lavoro e le risorse disponibili per produrre quello di cui hanno bisogno per sopravvivere. Ci possono essere lotte per la terra, asservimento dei deboli da parte dei forti, povertà e deprivazione per coloro che non sono in grado di procurarsi ciò di cui hanno bisogno, o ai quali viene impedito con la forza. Ma non c’è disoccupazione.

La disoccupazione è, per definizione, domanda non soddisfatta di lavoro pagato nella valuta emessa dallo Stato. In una società senza Stato, nessuno domanda di pezzi di carta e di metallo con su impresse immagini di sovrani, né richiede conti bancari che rappresentano debiti denominati in quei pezzi di carta e di metallo. Le persone lavoreranno in cambio di beni reali, o persino di gettoni emessi da privati che promettono in cambio beni reali, o perché qualcuno li costringerà a farlo. Ma non lavoreranno in cambio di gettoni emessi dallo Stato che non possano essere scambiati con altro.

Lo Stato, spiega Mosler, crea disoccupazione attraverso l’imposizione delle tasse. Minaccia sanzioni contro coloro che non restituiscono un certo numero dei gettoni che lui emette. Proibisce a chiunque altro di creare quei gettoni. In questo modo può procurarsi il lavoro e il capitale reale che vuole: attraverso la creazione e il pagamento in gettoni, la cui domanda ha creato con la forza [imponendo la tassazione, NdT]. È vero che quelli che rinunciano al lavoro e al capitale per guadagnare i gettoni non sempre sono coloro che ne hanno bisogno per pagare le imposte. Una volta che i gettoni sono necessari per tali pagamenti, i privati li possono anche accumulare e utilizzare per l’acquisto di lavoro e capitale. Coloro che non hanno bisogno direttamente dei gettoni per il pagamento delle imposte, si troveranno ad averne bisogno per procurarsi cibo e [soddisfare] altre necessità, ma solo perché lo Stato ha creato una domanda generalizzata di gettoni obbligando ad usarli come mezzo di pagamento.

Coloro che dicono che “lo Stato può stampare moneta, ma non può stampare ricchezza” non hanno capito nulla. Supponiamo che lo Stato stampi un nuovo tipo di gettone speciale, dicendo che è necessario pagare una tassa usando quel gettone, pena la prigione a vita. Nessuno ha il gettone, a parte lo Stato, che lo emette. In seguito lo Stato offre la possibilità di lavorare per lui una ventina di ore per guadagnare il gettone. Ho il sospetto che [tutti] accetterebbero la proposta. Lo Stato ha “stampato ricchezza”? No. Si è procurato il lavoro senza alcun costo per sé stesso? Assolutamente. Una pistola non può creare delle scarpe dal nulla. Ma un ladro può puntarti una pistola e prenderti le scarpe. O, se si tratta di un ladro furbo, può “comprare” le tue scarpe con il suo gettone che vuoi solo perché ti dice che ti sparerà se non lo pagherai con quello. Il gettone è stato semplicemente “stampato”. Ma l’apparato coercitivo che gli conferisce valore è molto reale.

Perché allora Wren-Lewis dice che la MMT non dà nessuna informazione che non sia già contenuta nell’equazione del vincolo del bilancio consolidato? La MMT mostra che il concetto divincolo di bilancio è del tutto privo di senso quando è applicato allo Stato. Il potere d’acquisto reale dello Stato è il suo potere coercitivo, non i gettoni che mascherano l’esercizio di tale potere. Quando si affronta il ladro furbo con i gettoni, sarebbe inutile disegnare un’equazione di bilancio che dice che la sua capacità di spesa totale è costituita dai gettoni che stampa e poi richiede indietro, o richiede in prestito. Come un prestigiatore, il ladro ci sta mostrando la mano sbagliata. La mano con i gettoni è una distrazione. Bisogna guardare la mano con la pistola. La MMT sta cercando di farci ricordare della pistola.

Essere distratti dai gettoni ci porta a dimenticare molte cose importanti, per esempio che c’è sempre tanta disoccupazione quanta lo Stato vuole che ce ne sia – per i dettagli circa la ragione di ciò è il caso di leggere l’articolo di Mosler.

Così la MMT, come sostiene Wren-Lewis, è solo la macroeconomia convenzionale con l’aggiunta di noiosi dettagli contabili? Bene, trovatemi un passaggio nei testi di macroeconomia che dica qualcosa del tipo:

“L’economia monetaria è il semplice sottoprodotto di un sistema mediante il quale lo Stato ottiene lavoro con la forza. Se lo Stato si limita ad obbligare solo le persone che poi impiegherà a ricercare un’occupazione retribuita (o paga altri per impiegarle), allora non c’è disoccupazione. Se costringe un numero di persone superiore a quelle che poi impiegherà ad aver bisogno di un lavoro (o paga altri per impiegarle) allora c’è disoccupazione. Quindi, se c’è disoccupazione involontaria è solo perché lo Stato ha esplicitamente scelto che ci sia, praticamente senza motivo.”

Devo poi ammettere che le intuizioni della MMT sono già ben apprezzate dalla macroeconomia convenzionale.

Si trattava di un’idea nuova, nel 1998? Non del tutto, ovviamente. Adam Smith accenna a qualcosa di simile nella Ricchezza delle Nazioni (libro 2, capitolo 2), anche se non sviluppa il tema. È anche una parte della storia dell’accumulazione primitiva di Marx. La teoria statale della moneta di Knapp non dice proprio la stessa cosa: [dice] che lo Stato può dare un nuovo tipo di valore a una valuta preesistente accettandola come mezzo di pagamento delle imposte (il che, forse, è anche quello che intendeva Smith).

Ma l’idea che la valuta dello Stato è sostanzialmente un mezzo per costringere le persone a lavorare non è messa in evidenza chiaramente in nessuna di queste fonti. Il paper e il libro di Mosler lo dicono più chiaramente di qualsiasi altra cosa io abbia letto. I macroeconomisti non ne accennano affatto. Sembrerebbe avere qualche implicazione piuttosto importante per l’economia politica e, ancora una volta, per la filosofia politica più in generale. Davvero Wren-Lewis pensa che questo non sia nemmeno degno di nota? O è lui, forse, che non ne ha colto il senso?

 

Traduzione a cura di Daniela Corda, Supervisione alla traduzione di Andrea Sorrentino e Maria Consiglia Di Fonzo


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