L’ultima cartina al tornasole, in termini di tempo, delle politiche strutturali dettate da Bruxelles e applicate dai Governi italiani, è il Rapporto 2016 sulla povertà e l’esclusione sociale dalla Caritas.
Così come il livello di sicurezza sul lavoro è universalmente misurato dal numero di incidenti che si verificano tra chi lavora, allo stesso modo possiamo valutare la qualità delle politiche economiche dal numero di persone escluse dal circuito economico: i poveri. Se i poveri diminuiscono, vuol dire che le politiche economiche funzionano; se aumentano, vuol dire che quelle politiche sono fallimentari.
Ecco i dati: dal 2007 al 2015 il numero di poveri è aumentato del 145%!
Non solo è aumentato il numero dei poveri tra i disoccupati, ma, dato ancora più allarmante, aumentano i poveri tra chi lavora. Questo quadro offre l’esatta dimensione dell’impatto delle riforme del lavoro compiute fino ad oggi: la polverizzazione del concetto di salario dignitoso.
Art. 36 della Costituzione Italiana: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa
Infine, se guardiamo l’incidenza del dato per classi di età, è assolutamente chiaro che stiamo percorrendo una strada in cui intere generazioni di giovani sono state tagliate fuori dal godimento dei diritti costituzionali.
I dati non fanno che confermare l’elevato contenuto di sperequazione sociale delle politiche economiche attuate, che spostano la ricchezza verso pochi ricchi a danno di un numero di persone sempre più povere, così come l’indice di Gini spiega in modo lapidario: se l’indice aumenta, aumentano le diseguaglianze sociali.
L’Italia, adempiendo al suo mandato costituzionale, con deficit e piani del lavoro può eliminare la povertà in sei mesi.
Sbagliare (al massimo una volta) può essere umano, ma perseverare con queste politiche, oggi, è da criminali.