Il Commento

Il Pil nel 2015 crescerà dello 0,9%, ma questa non è la ripresa che vogliamo

Renzi, Padoan e la nota di aggiornamento al DEF 2015

Il Governo, nella nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Def), ha corretto al rialzo dello 0,2% la stima sul prodotto interno lordo (Pil) elaborata ad aprile, che prevedeva un incremento dello stesso limitato allo 0,7%, portando quindi la previsione di crescita allo 0,9%. Ciò comporterà che quest’anno il valore della vendita di beni e servizi finali prodotti in Italia aumenterà, in soldoni, di circa 15 mld€ rispetto al 2014.

Si tratta di una previsione certamente positiva. Tuttavia è utile capire quali componenti del Pil determineranno la sua variazione positiva. Il Pil si compone, infatti, di 4 elementi:

  • la spesa in consumi privati delle famiglie,
  • gli investimenti delle imprese,
  • la spesa delle Pubbliche Amministrazioni (PA) in beni e servizi,
  • le esportazioni nette (la differenza tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni).

Secondo il Governo, la crescita del Pil sarà dovuta interamente alla domanda nazionale, poiché le esportazioni nette forniranno un contributo addirittura negativo dello 0,2%. A sostenere il Pil, a fronte di una leggera contrazione della spesa delle PA, saranno, nello specifico, i consumi e le scorte; queste ultime rientrano nella componente degli investimenti, e comprendono tutti i beni non venduti nell’anno in corso e collocati nei magazzini delle imprese. Ciò significa che saranno famiglie e imprese a spendere e a investire di più nel 2015 rispetto all’anno precedente.

Si sta quindi registrando un aumento della propensione alla spesa, con correlata riduzione della propensione al risparmio. Non era affatto scontato che ciò potesse avvenire, come non è scontato né prevedibile determinare in quale misura e per quanto tempo gli italiani saranno ancora disponibili a sacrificare il proprio desiderio di risparmiare, in un contesto programmatico di politica fiscale che, peraltro, mira a ulteriori riduzioni del deficit pubblico. Il che avrà come conseguenza, in condizioni di equilibrio verso il settore estero, un ridimensionamento del surplus finanziario del settore privato nazionale. Ciò, a nostro parere, rende la ripresa in atto estremamente fragile ed incerta.

Indubbiamente, la recessione particolarmente duratura e profonda che ha attraversato il nostro Paese (il Pil è sceso di oltre il 9% nel periodo 2008-2014) ha messo a dura prova la tenuta del sistema economico nazionale. In tale contesto, i consumatori stanno legittimamente decidendo di non voler continuare a rinunciare, quantomeno oltre una data misura, ad un certo livello di benessere reale; a tal fine si sono determinati, dopo diversi anni di privazioni, a sacrificare la propensione al risparmio, caratteristica del popolo italiano. Il rapporto mensile dell’associazione bancaria italiana (Abi) evidenzia che nei primi 8 mesi del 2015 la raccolta bancaria (componente rilevante della ricchezza finanziaria privata) è scesa, in misura significativa, di ben 34 mld€. Vuol dire che i depositi e le obbligazioni della clientela privata sono effettivamente scesi di tale importo. L’economia sta beneficiando di tale situazione, il Pil tende a crescere ed anche l’occupazione mostra da luglio segnali positivi, come conseguenza indiretta dell’aumento delle vendite.

Bene, questo genere di ripresa a noi della MMT non piace affatto, non solo perché potenzialmente effimera, come argomentato prima, ma anche perché basata esclusivamente su logiche di mercato e non su un rilancio della spesa pubblica e del welfare, pur a fronte delle tante emergenze sociali che andrebbero affrontate: sanità, istruzione, sicurezza del territorio, per citarne alcune.

Il Governo persiste nella volontà di mantenere, ad ogni costo sociale, i conti in ordine, pur sapendo che le restrizioni sulla moneta sono determinate da vincoli di natura esclusivamente politica. Tali vincoli andrebbero rimossi, a vantaggio dell’intera popolazione, che continua ad essere privata di alcuni diritti di base a causa dell’arretramento del ruolo dello Stato, che si fa sempre più da parte per far fare al mercato ciò che, in realtà, il mercato non sa e non può fare.


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