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Povertà: una situazione da dopoguerra (senza che la guerra sia finita)

14 Dicembre 2016, ore 8:0017:00

Dobbiamo ammetterlo, ci stiamo abituando: ai giovani che, quando ve bene, lavorano per 700 euro al mese per 40 ore settimanali, a non avere più un po’ di risparmio messo da parte, a vedere intorno a noi una povertà che non regredisce. Ci stiamo abituando all’idea che la malattia è ormai cronica.  Potremmo guarire di punto in bianco ma ci stiamo abituando all’idea che almeno non stiamo morendo.

La consapevolezza si rende concreta tutto d’un colpo però di fronte ai dati, nero su bianco, ad una tabella, ad un titolo. Come martedì nei giornali: l’indigenza assoluta è più che raddoppiata nell’arco degli ultimi dieci anni 

La povertà è aumentata dal 2005 ad oggi del 141%. Lo dicono i dati della ricerca dell’associazione Openpolis in collaborazione con ActionAid.
4,6 milioni di italiani vivono nell’indigenza assoluta, quasi l’8% della popolazione ma nel 2005 era il 3,3% del totale. Nel Nord come nel Sud. La ricerca evidenzia le tipologie dei nuovi poveri. Infatti, la triste novità della società dall’austerità permanente è rappresentata dai lavoratori poveri: bassi salari, contratti di precari, part time, giovani costretti ad accettare il peggio che offre il mercato del lavoro.

Colpa della crisi? Certo, ma ancor più della scelta politica di mantenere il fuoco dell’austerità sempre accesso e vivo.
Cresce la povertà in Italia ma cresce ancora di più in Germania; la terra promessa indicata dai sostenitori dell’eurozona è nella realtà un paese che fonda le proprie politiche economiche sulla povertà dei tanti, spesso cittadini provenienti da altri paesi UE.
Cresce la povertà dei bambini sotto i 6 anni. I futuri adulti poveri crescono in Italia ma crescono maggiormente nella terra degli esperimenti sociali: la Grecia.

Se si sommano le vittime della povertà assoluta a quelli della povertà relativa, emerge il quadro di un dopoguerra dove però la popolazione non ha nemmeno il conforto che sia finita la guerra. Il 38,6% delle famiglie non può far fronte a spese impreviste e aumentano quelle che non possono permettersi di riscaldare la propria abitazione.

La seconda parte della ricerca punta il dito sul welfare, che risulta inefficace a contrastare la povertà crescente. È vero; le risorse sono poche, frammentate e non c’è un disegno organico di intervento. Il nodo è però un altro: indebolire il welfare è stata una scelta, creare nuovi poveri è stata una scelta, creare lavoratori sottopagati è una scelta. I governi hanno scelto di rispettare e implementare i vincoli di bilancio, i tagli alla spesa pubblica, le riforme del lavoro e quelle previdenziali. In Europa non è finita l’energia con la quale riscaldarsi, gli scaffali sono pieni di proteine da mangiare, ci sono ancora insegnanti per far studiare i figli, e medici e infermieri per garantire la sanità a tutti. Soprattutto ci sono tanti lavori da fare e dove impiegare i disoccupati e chi è a rischio di esclusione sociale. Manca la moneta per attivare tutto quello che  nelle potenzialità è già disponibile. È stata una scelta politica rendere la moneta scarsa.

Si può scorgere all’orizzonte un segnale di speranza? Purtroppo nessuno.

Martedì scorso alla domanda di un giornalista di La Repubblica “Non trova però che nell’ eurozona ci sia un problema di domanda più che di offerta?” il vicepresidente della Commissione Europea Jyrki Katainen risponde “i Paesi che possono stimolare la loro economia, sono Germania e Olanda. La maggior parte dei Paesi dell’ eurozona, invece, non può perché deve

difendere la sua credibilità”.

È sempre una questione di scelte. La scelta di difendere la credibilità di un paese agli occhi dei mercati finanziari piuttosto che di ridurre la povertà.

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Data:
14 Dicembre 2016
Ora:
8:00 – 17:00
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