La Teoria

Come la Francia e i Paesi dell’Euro possono sopravvivere al modello europeo della deflazione permanente. Parte I

Introduzione: il modello europeo della deflazione permanente.

  1. Per via della loro appartenenza alla fede dell’Unione Europea e della zona euro, la Francia e la Spagna devono rispettare dei vincoli molto duri sulle loro politiche economiche e sociali. Queste leggi politiche sono delle vere e proprie camice di forza che tolgono al potere politico, qualsiasi sia il suo livello, ogni spazio di libertà.
  2. Come sarà dimostrato più avanti, questi vincoli contraddicono i principi fondamentali dell’economia monetaria moderna. Ciò spiega come gli sforzi fatti per applicarli generino disoccupazione effettiva crescente e una instabilità insostenibile. La prova di questa diagnosi è allo stesso tempo teorica ed empirica. Degli studi empirici solidi rivelano che la misera prestazione dell’Europa in rapporto agli Stati Uniti deriva dal fatto che questi non sono mai vincolati da una tale camicia di forza.
  3. Così il paradosso è che il modello Europeo è il risultato finale di scelte fatte molto tempo fa, e che la Francia e la Germania si sono imposte, come minimo, a partire dagli anni 70. Sarà esposto più avanti come il programma di rigore imposto nel 1983 dal governo nominato da François Mitterrand fosse la scelta definitiva alla base della concezione della camicia di forza Europea. Contrariamente a ciò che si crede generalmente, la terapia shock francese era una scelta a suo tempo deliberata (scelta presa in modo arbitrario ndr) e dalla quale i governi francesi successivi non si sono mai discostati.
  4. Una tale diagnosi solleva la questione cruciale: come possono paesi come la Francia e la Spagna liberarsi da questa scelta in un quadro Europeo? È possibile adattarsi a queste regole o è necessario pensare a una Europa libera dalla camicia di forza ideologica?

I / La camicia di forza

Dalla sua creazione L’Unione europea ha imposto agli Stati membri un numero crescente di vincoli i miranti ad annichilire ogni possibilità di scelta delle loro politiche economiche e sociali. Il loro grado di libertà d’azione è attualmente inferiore a quello di uno Stato degli Stati Uniti. Questa durissima camicia di forza è la conseguenza dello spirito che ha presieduto la creazione dell’Unione e l’esistenza dell’ Euro-sistema così come possiamo costatare dai trattati di Maastricht e Amsterdam (le radici del Patto di Stabilità e di Crescita).

I.1- Le principali restrizioni:

Esse mirano a creare il perfetto modello di equilibrio generale imponendo a tutti gli Stati:

  • Una concorrenza perfetta in seno alle loro economie.
  • Deregolamentazione e privatizzazione mirante in particolare a ciò che viene chiamato «mercato del lavoro». [Il virgolettato è dovuto al fatto che per Parguez non esiste un mercato del lavoro in quanto il lavoratore non può decidere se lavorare o meno: se non lavora, muore, NdT].

I.2 Misure d’applicazione

Le restrizioni sono imposte per la creazione della zona Euro che mira a una quasi restaurazione della Zona- oro che era stata creata dalla Francia nel 1931. L’Euro come un quasi-oro è radicato in regole d’eccezione

  • Una banca centrale sovrana completamente sovranazionale che, grazie al consenso di tutti i suoi membri, ha riscritto il suo statuto e ha esplicitamente ammesso un tasso elevato di disoccupazione come mezzo di realizzazione del suo scopo iniziale: una inflazione quasi nulla. Per raggiungere questo scopo essa fissa il tasso d’interesse a un livello sufficientemente elevato per comprimere la domanda globale a prescindere dalle cause dell’«Inflazione». Una tale politica monetaria esige conformemente ai trattati dell’Euro che la banche centrale non crei mai moneta – direttamente o indirettamente – per gli Stati-membri.
  • Il patto di Stabilità e di Crescita (PSC), imposto con costanza, ha come bersaglio, allo stesso tempo il «deficit pubblico» e «il debito pubblico». A partire da un limite massimo del 3% del PIL per i deficit pubblici e del 60% del PIL per i debiti pubblici, Il PCS ha mutato verso una eccedenza permanente dei conti pubblici (fuori dal peso del debito) e una riduzione del debito pubblico ben al disotto del 60 % del Pil (molti paesi dell’ Europa non possono soddisfare questi limiti). Questi limiti severi prendono di mira indirettamente la spesa pubblica e la fiscalità a tutti i livelli. Esse impongono una compressione sul lungo termine delle spese pubbliche perché la fiscalità progressiva è considerata «anti-mercato».

II/ Questo modello è in contraddizione con i principi dell’economia monetaria moderna.

II. 1 Ciò che chiamiamo Economia Europea è in contraddizione con i principi fondamentali dell’Economia moderna. Tutti i paesi della Zona Euro, compresi la Francia e la Spagna sicuramente, sono delle economie monetarie e la creazione della moneta dovrebbe esistere per addolcire o eliminare la maggior parte delle restrizioni sulle spese di tutti gli attori partecipanti alla creazione della ricchezza reale.

Questo significa che le banche creano la moneta trascinando la spesa delle imprese, delle famiglie (al di là del loro reddito) e dello Stato come delle obbligazioni che saranno rimborsate attraverso i redditi generati da queste spese. Può essere dimostrato che lo Stato gioca un ruolo essenziale come condizione di esistenza di questo processo (vedere Bliek et Parguez 2007)

  • La capacità del settore privato di ottenere della moneta trova il limite nella valutazione da parte delle banche delle probabilità di successo delle scommesse dei soggetti privati sull’avvenire. I fattori chiave sono la speranza di profitto e il tasso di profitto (profitto/ salari distribuiti) che dimostrano la solidità delle imprese.
  • Lo Stato non è limitato da una tale restrizione. Comprendere le economie moderne richiede di scoprire ciò che è perfettamente confermato dai fatti:
    • Le spese dello Stato non sono e non possono essere finanziate dalle imposte. Esse [le spese, NdT] generano una creazione istantanea di moneta.
    • Le imposte vengono percepite quando si verificano le spese di tutti gli attori. Esse distruggono la moneta in seno al settore privato.
    • Ne risulta che la contropartita di ciò che chiamiamo deficit pubblico è una eccedenza del settore privato (risparmio netto).
    • Fin tanto che le spese dello Stato sono totalmente produttive, questa eccedenza (risparmio netto) è allo stesso tempo finanziaria e reale. Questa eccedenza è compresa nell’accrescimento dello stock di capitale pubblico o collettivo (tangibile e non tangibile).
    • Così non c’è la minima ragione di temere la minaccia dell’aumento del debito pubblico che è allo stesso tempo un meccanismo di crescita e un ancora alla stabilità del sistema finanziario. Aumentando oggi il debito pubblico per delle spese produttive lo Stato opera un trasferimento netto di ricchezza in favore delle generazioni future (Eisner 1994, Parguez 2008) integrando il reddito da interesse sul debito che verrà versato ai futuri detentori.

Coloro che invocano il fardello del debito ignorano ciò che conta veramente per le generazioni future. Essi ragionano in economie stazionarie e postulano uno Stato totalmente improduttivo. Facendo ciò non fanno altro che attualizzare il vecchio postulato dell’equivalenza Riccardiana: il debito poiché non crea nulla deve essere pagato con una tassazione sempre crescente, sprecando in tal modo ricchezza.

II. 2 Le obiezioni abituali fatte a questa descrizione dell’economia monetaria non reggono. Questa descrizione si applica perfettamente ad una economia aperta:

  • Ciò che chiamiamo vincolo esterno non esiste sino a quando lo Stato non cerca di mantenere un tasso di cambio insostenibile.
  • Non c’è compromesso da accettare, tra inflazione reale e politica di pieno impiego basata sul accrescimento di lungo termine della spesa pubblica che miri alla creazione di ricchezza reale.

II.3 È pertanto da così tanto tempo che gli Stati-membri si sforzano di applicare il modello Europeo che sono condannati a raccogliere la stagflazione se non un misto di diminuzione vera della crescita e di inflazione crescente. Secondo un lavoro econometrico in corso (Giovannoni 2008) per l’economia Americana ci sarà una curva di Phillips con inclinazione positiva tra gli assi di inflazione e disoccupazione; più si lascia aumentare la disoccupazione, più aumenta l’inflazione. Un esempio perfetto di questo insuccesso è il caso della Francia dopo almeno la metà degli anni 70. Più i governi cercavano di comprimere le spese per avere degli avanzi, più ottenevano dei deficit imposti senza alcun impatto positivo, ovvero crescita della disoccupazione effettiva e dell’inflazione.

Né le autorità Francesi, né le banche centrali dei paesi dell’Europa comprendono la vera natura dell’inflazione contemporanea. Essi credono ancora che le banche centrali possano controllare perfettamente l’inflazione imponendo il tasso d’interesse. Si dovrebbe avere (nella logica delle bc ndr)una relazione inversa tra il tasso di inflazione e il livello del tasso d’interesse che è sotto il controllo diretto della banca centrale. È là che si trova l’origine della cosiddetta “dottrina dell’inflazione mirata” e del suo gemello: il tasso naturale di disoccupazione garante dalla stabilità dei prezzi. Queste due politiche gemelle poggiano sul postulato che elevare sufficientemente il tasso d’interesse permette l’aumento della disoccupazione (attraverso la riduzione della domanda aggregata) il che impone una restrizione sufficiente sui salari.

Questo postulato è in contrasto con dei fatti solidi: da lungo tempo, almeno dall’inizio degli anni 70, un aumento dei redditi da lavoro non è la causa dell’inflazione. Ciò che provoca l’inflazione attuale è la crescita continua dei prezzi delle materie prime, dell’energia, e dei prodotti alimentari, quando invece le imprese si sforzano di aumentare il loro tasso di profitto (aumento dei prezzi) e includono nei loro costi di produzione le perdite in capitale risultanti dalla loro capacità eccedente inutilizzata [Gigantismo, capitale fisso allestito per una produzione potenziale inutilizzato e conseguente aumento dei costi medi, NdT]. In questa situazione l’inflazione può essere definita puramente strutturale e l’aumento del tasso d’interesse non può controllarla. Essa potrebbe addirittura avere una accelerazione a causa dell’aumento del tasso d’interesse (vedere Parguez Dijon 2007).

Il risultato è che, in Europa, il reddito da lavoro dipendente si trascina sempre più appresso i prezzi. Di conseguenza il reddito reale da lavoro diminuisce in rapporto alla produttività, il che si accorda con l’obiettivo della crescita dei profitti.

II.4 Questo fa parte della dimostrazione che la nostra descrizione dell’economia monetaria moderna è confortata da un insieme convergente di studi empirici solidi che provano che:

  • È falso spiegare la stagnazione Europea attraverso una supposta rigidità dell’Europa in rapporto agli Stati Uniti. Le riforme odierne, tanto di moda, non fanno altro che distruggere ciò che resta del modello sociale senza alcun impatto positivo.
  • La crescita Americana nel lungo termine è interamente spiegata attraverso la crescita dei consumi e della spesa pubblica.
  • Negli Stati Uniti c’è una curva anti-Phillips che prova che la crescita è associata a una diminuzione dell’inflazione.
  • Ad ogni modo, l’inflazione contemporanea non può essere guarita con una contrazione della domanda. Ciò va al di là del potere delle banche centrali.
  • Il sedicente teorema dei deficit gemelli (secondo il quale un deficit di bilancio genera un ugual deficit commerciale) è empiricamente falso ed in particolar modo nel caso degli Stati Uniti.

Questo testo è una versione rivisitata di quello scritto per l’Università di Stato in occasione dell’incontro, organizzato dall’Università Complutense di Madrid, tenutosi a El Escorial dal 14 al 18 luglio 2008.

 

Originale: Comment la France et les pays de l’Euro peuvent survivre au modèle Européen de déflation permanente – Ottobre 2008

Traduzione a cura di Arnaldo Usai


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