L'Editoriale

Centri anti violenza chiusi per austerità (ma gli # abbondano)

Centri anti violenza chiusi per austerità (ma gli # abbondano)

I centri per la tutela delle donne maltrattate rischiano di chiudere, come il centro “Colasanti e Lopez” (in memoria delle come due ragazze massacrate nel 1975 al Circeo) che in dieci anni di attività ha seguito migliaia di vittime delle violenza.

Non ci sono i soldi, e senza finanziamenti pubblici si spegne tutto ciò che ha come fine l’interesse pubblico e non il profitto. A quale soggetto privato potrebbe interessare la gestione di un centro anti-violenza? Non stiamo parlando certo di ENI o delle Poste, da cui si può fare profitto. Lo deve gestire il pubblico.

Si tratta di centri che in molti casi ospitano le donne maltrattate, salvandole dai loro aguzzini, o che sono di supporto alle vittime per ricostruire una nuova vita.

Il centro Artemisia di Firenze denuncia il crollo del 70% dei fondi pubblici negli ultimi anni, ma la situazione non è meno grave nelle altre Regioni.

L’austerità cancella pian piano gli strumenti che uno Stato può mettere in campo a difesa dei più deboli nel nome del dogma astratto del rigore dei conti. Si moltiplicano gli appelli per rompere il muro del silenzio che circonda le vittime della violenza domestica, ma si riducono i mezzi con cui difendere le vittime; servono Carabinieri, magistrati, psicologi, strutture, centralinisti per raccogliere le richieste e molto di più. Serve lo Stato.

Tutto il supporto alle vittime si riduce ad un hashtag da condividere, che fa tanto sensibilità, e in qualche frase di condanna dei politici. Tutte cose non richiedono di andare contro le politiche di austerità dell’Unione europea.


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